martedì 14 agosto 2012


PERSONAGGI DI UN ALTRO SECOLO – 10
  
La discussione era feroce. E urlata, tanto che i vetri di quel bar di Olgiate Comasco vibravano per le grida mentre fuori la luce lasciava spazio ad un bel tramonto in quella giornata di primavera inoltrata sul finire degli anni novanta. Discussione violenta ma prevedibile, visto che fra i tanti contendenti c’erano due pezzi da novanta della polemica, conosciuti in tutti i comuni della collina: Libero e Guido. Il primo lo abbiamo già conosciuto, il   limpido e ateo marxista folgorato da un’incredibile conversione mentre Guido è un nuovo personaggio delle nostre storie. Per inquadrarlo velocemente basta citare il suo soprannome: Bartali, datogli non perché fosse un vecchio ciclista, mai inforcata una bicicletta, ma perché aveva in comune, con il grande corridore toscano, la frase “tutto sbagliato, tutto da rifare”. Non c’era argomento, dalla politica allo sport, dove Guido non avesse da dire la sua, sempre diversa dalle altre opinioni e sempre catastrofica. E l’argomento trattato aveva proprio la caratteristica di dividere gli astanti: il più noto iettatore di tutta la Collina Comasca, l’Innominabile. Era questi un signore di mezza età, di un magro cadaverico, alto all’incirca un metro e ottanta centimetri, con un viso incorniciato da una barbetta grigiastra, dire barba sarebbe troppo, aveva più giustamente una peluria sulle guance e sul mento con un paio di occhialini tondeggianti, dalla montatura anch’essa grigia che davano al volto pallido un aspetto veramente da menagramo. Nulla di nuovo sotto il sole, come il veronese Cesare Lombroso cercava di catalogare i delinquenti in base ai caratteri somatici del viso così l’Innominabile aveva tutte le caratteristiche fisiche dello iettatore, alle quali aggiungeva di suo l’uso di vestire sempre di nero e spesso anche con un cappello dello stesso colore. Normale quindi che fosse considerato da tutti l’uccello del malaugurio, forse un po’ meno il fatto che fosse così tanto temuto: nessuno osava pronunciare il suo nome. Per tutti era semplicemente l’Innominabile. Leggendarie, e disastrose, le storie che si raccontavano. Il Barbisun lo aveva salutato e da incosciente gli aveva stretto anche la mano con il risultato che tanto ardire fu ricompensato con un vaso di gerani caduto sulla sua spalla destra, scapola e clavicola fratturati, il supporto del vaso non si sa come, anzi si sapeva benissimo, si era rotto proprio mentre transitava il colpevole Barbisun, colpevole perché non si sfida così il destino. Il Giuvanin era un noto logorroico che intavolava discorsi con tutti, fermava chiunque e partiva con prediche sconclusionate; tutti lo sapevano e lasciavano fare svicolando appena potevano. Un giorno malaugurato il Giuvanin fermò l’Innominabile, alla fine del sermone il povero Giuvanin attraversò la strada, sulle strisce pedonali e con semaforo verde, e fu investito da un’auto guidata da un neopatentato: due mesi di ospedale. A quel tempo si pronunciavano ancora il nome e cognome dell’Innominabile: poi accadde che tre amici, durante una cena in un ristorante, citarono più volte le generalità del menagramo riferendo con dovizia di particolari tutte le sue prodezze. Due credevano al potere iettatorio dell’Innominabile mentre il terzo era titubante se non scettico. Nel giro di ventiquattro ore dalla cena tutti e tre ebbero problemi, dalla semplice sciatica ad un piccolo infarto mentre l’amico dubbioso fu colpito da un grave lutto. La funesta fama di creatore di disgrazie raggiunse l’apice e, da allora, nessuno spiccicò più il suo nome e cognome.
 
Il motivo della discussione, però, non riguardava l’imbarazzante potere dell’Impronunciabile ma l’accadimento che aveva sconvolto tutte le certezze degli avventori di quel bar: lo iettatore l’aveva combinata grossa. Era successo che nella mattina di quel giorno sulla provinciale 23, la Lomazzo – Bizzarone per intenderci, un incidente avrebbe potuto avere tragiche conseguenze perché in una macchina tamponata da un camion rimasero imprigionati una mamma con il proprio figlio adolescente. E invece non ci furono poiché un uomo, con sprezzo del pericolo, riuscì ad estrarli entrambi dall’auto un attimo prima che fosse avvolta e completamente distrutta dalle fiamme. Quell’uomo era l’Innominabile. Potete capire lo sconcerto che colpì tutti quelli che lo conoscevano come il menagramo della nostra zona. Dapprima nessuno credette alla notizia, poi i numerosi testimoni confermarono la prodezza dell’Innominabile, anzi, tutti i presenti all’incidente ne sottolinearono l’intrepido e solitario coraggio. Infatti, nonostante la strada fosse trafficata in quell’ora di punta, solo l’Innominabile ebbe la prontezza di riflessi e l’ardimento necessario per salvare mamma e figlio. Naturale quindi che quella sera l’argomento all’ordine del giorno nell’affollato bar fosse: ma l’Innominabile è uno iettatore o no? Tralascio di trascrivere le contumelie, le ingiurie, quasi tutte volgari, scagliate dagli avventori, non è mia intenzione comportarmi da cronista pedante. Riporto invece il succo dei vari interventi, i ragionamenti usciti dalla discussione. Pazienza se vi sembreranno più delle allucinazioni di ubriachi piuttosto che serie argomentazioni.
 
Cominciamo con il Genesio: questi esordì dicendo di imputare all’Innominabile il cattivo esito di un suo affare nell’ultimo inverno, lo aveva incrociato ed aveva risposto al suo cenno di saluto mentre si recava sul luogo di lavoro. Tralasciò di dire che l’affare era una rapina e che il fallimento era stato determinato esclusivamente alla sua dabbenaggine ed a quella del suo socio, il Moscerino. Comunque il ragionamento di Genesio era semplice: nonostante l’azione encomiabile l’Innominabile era sempre uno iettatore e quindi i due salvati non potevano gioire più di tanto perché, prima o poi, il malocchio li avrebbe travolti di nuovo. Il Genesio fu sommerso da ululati di disapprovazione: insieme agli insulti, riporto il più gentile “ma va’ a lavurà, barbun”, gli fu spiegato che non è di competenza di un famoso iettatore salvare gli incidentati e non si può proprio immaginare qualcosa di peggiore di un anticipo di inferno come il bruciare vivi in mezzo alle lamiere contorte. La parola passò quindi a Guido detto Bartali che iniziò con il suo solito “è tutto sbagliato, tutto da rifare” perciò l’Innominabile non poteva essere assolutamente uno iettatore, il salvataggio di due vite umane doveva essere considerato un dato inconfutabile. L’errore andava attribuito a chi in malafede aveva etichettato il povero Innominabile di tale spregevole fama e, già che c’era, accusò tutti gli avventori di non essere affatto preparati nell’argomento malocchio “non come a Napoli, laggiù mai e poi mai avrebbero sbagliato così clamorosamente nell’individuare un portatore di iella: scoprire un menagramo è un’arte e noi, poveri comaschi di periferia, siamo principianti a confronto dei napoletani”. Le grida di scherno coprirono Guido, le offese ancor più sanguinose di quelle che avevano sommerso Genesio. Ovviamente gli dissero che aveva sempre considerato il Sud dell’Italia l’inizio dell’Africa e ora, solo per aver ragione, elevava i napoletani a maestri dell’arte iettatoria. Gli chiesero: “come mai, fino ad ora sotto il Vesuvio c’era solo monnezza e adesso, invece, c’è la saggezza?” Bartali rispose con voce strozzata ed il viso paonazzo “perché sono obiettivo e vedo il buono anche nel marcio” guadagnandosi le sghignazzate di disapprovazione di tutto il bar, risate di scherno interrotte dalla voce baritonale di Libero “Guido, tu puoi provare la fondatezza della tua affermazione: non credi alla fama di iettatore dell’Innominabile. Bene, dimostra subito, e qui, che non ci credi, dimostralo a noi tutti, declama, senza tentennamenti, il nome e il cognome che tutti qui conoscono ma non pronunciano mai”. Bartali replicò bofonchiando maledizioni, minacce e roteando la mano destra con l’indice puntato verso Libero; ma senza proferire quel nome. Mentre il viso di Guido diventava sempre più cianotico fra gli sguardi di commiserazione dei clienti, prese la parola Edoardo, un vecchio e grasso pensionato. Un tipo taciturno che non parlava mai a sproposito. Disse che nonostante l’atto di eroismo l’Innominabile sarà sempre accreditato di portare il malocchio perché “questa è la maschera assegnatagli dalla sorte: si nasce predestinati, chi ha la grazia di essere un benefattore e chi l’indole dello iettatore, puoi lottare, tentare di modificare la parte dataci dal fato ma non ci riuscirai mai perché non si può combattere il destino”. Alle parole di Edoardo non seguirono urla e lazzi, segno che i suoi ragionamenti avevano colpito gli avventori del bar. Intervenne allora Libero con un “bravo Edoardo, senza volerlo hai fatto un discorso da perfetto calvinista” frase che stupì gli astanti perché Libero non era un tipo facile ai complimenti mentre la citazione religiosa non meravigliò nessuno: in quell’ambiente tutti sapevano che Libero, tormentato dal problema “posso credere senza appartenere ad una comunità di credenti”, si era dedicato allo studio della Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana e, da metodico quale era, aveva cominciato da San Pietro che pose la prima pietra e, sempre rispettando la cronologia e il corso dei secoli, in quei giorni stava proprio studiando i movimenti religiosi protestanti. C’era da capirlo, il tormentato Libero, aveva già subito una fregatura dalla chiesa marxista ed ora non voleva più ripetere il grave errore della sua gioventù. Libero continuò dicendo “Edoardo giustamente ha parlato di predestinazione ed è proprio del calvinismo chiamare con questo termine l’eterno decreto di Dio mediante il quale egli ha stabilito che cosa debba avvenire di ciascun uomo. Infatti, per i calvinisti, non tutti sono stati creati in eguale condizione, ma agli uni è stata predestinata la vita eterna, agli altri la dannazione eterna. Però io distinguerei fra la predestinazione e il giudizio della gente. Senza ombra di dubbio l’Innominabile ha nella sua carne il destino prestabilito del menagramo e penso che la sua azione valorosa sia stata determinata dal tentativo di togliersi definitivamente la sua maledizione. Ma siamo sicuri che il giudizio di chi lo conosce cambierà dopo il salvataggio degli automobilisti? Io prevedo di no perché il pregiudizio nei suoi confronti è radicato e chi volesse cancellarlo si troverebbe sempre a lottare con il suo lugubre aspetto iettatorio, una esteriorità che aiuta tutti a comprendere che l’Innominabile è un predestinato a quel ruolo”.
 
Un pesante silenzio scese nel bar quando Libero finì di parlare, solo Bartali mormorava, con la sua voce resa afona dal gran gridare, “però a Napoli...”.
 
Un silenzio che sapeva di assenso.
 

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