PERSONAGGI
DI UN ALTRO SECOLO – 10
La
discussione era feroce. E urlata, tanto che i vetri di quel bar di
Olgiate Comasco vibravano per le grida mentre fuori la luce lasciava
spazio ad un bel tramonto in quella giornata di primavera inoltrata
sul finire degli anni novanta. Discussione violenta ma prevedibile,
visto che fra i tanti contendenti c’erano due pezzi da novanta
della polemica, conosciuti in tutti i comuni della collina: Libero e
Guido. Il primo lo abbiamo già conosciuto, il limpido e
ateo marxista folgorato da un’incredibile conversione
mentre Guido è un nuovo personaggio delle nostre storie. Per
inquadrarlo velocemente basta citare il suo soprannome: Bartali,
datogli non perché fosse un vecchio ciclista, mai inforcata una
bicicletta, ma perché aveva in comune, con il grande corridore
toscano, la frase “tutto sbagliato, tutto da rifare”. Non c’era
argomento, dalla politica allo sport, dove Guido non avesse da dire
la sua, sempre diversa dalle altre opinioni e sempre catastrofica. E
l’argomento trattato aveva proprio la caratteristica di dividere
gli astanti: il più noto iettatore di tutta la Collina Comasca,
l’Innominabile. Era questi un signore di mezza età, di un magro
cadaverico, alto all’incirca un metro e ottanta centimetri, con un
viso incorniciato da una barbetta grigiastra, dire barba sarebbe
troppo, aveva più giustamente una peluria sulle guance e sul mento
con un paio di occhialini tondeggianti, dalla montatura anch’essa
grigia che davano al volto pallido un aspetto veramente da menagramo.
Nulla di nuovo sotto il sole, come il veronese Cesare Lombroso
cercava di catalogare i delinquenti in base ai caratteri somatici del
viso così l’Innominabile aveva tutte le caratteristiche fisiche
dello iettatore, alle quali aggiungeva di suo l’uso di vestire
sempre di nero e spesso anche con un cappello dello stesso colore.
Normale quindi che fosse considerato da tutti l’uccello del
malaugurio, forse un po’ meno il fatto che fosse così tanto
temuto: nessuno osava pronunciare il suo nome. Per tutti era
semplicemente l’Innominabile. Leggendarie, e disastrose, le storie
che si raccontavano. Il Barbisun lo aveva salutato e da
incosciente gli aveva stretto anche la mano con il risultato che
tanto ardire fu ricompensato con un vaso di gerani caduto sulla sua
spalla destra, scapola e clavicola fratturati, il supporto del vaso
non si sa come, anzi si sapeva benissimo, si era rotto proprio
mentre transitava il colpevole Barbisun, colpevole perché non si
sfida così il destino. Il Giuvanin era un noto logorroico che
intavolava discorsi con tutti, fermava chiunque e partiva con
prediche sconclusionate; tutti lo sapevano e lasciavano
fare svicolando appena potevano. Un giorno malaugurato il
Giuvanin fermò l’Innominabile, alla fine del sermone il povero
Giuvanin attraversò la strada, sulle strisce pedonali e con semaforo
verde, e fu investito da un’auto guidata da un neopatentato:
due mesi di ospedale. A quel tempo si pronunciavano ancora il nome e
cognome dell’Innominabile: poi accadde che tre amici, durante una
cena in un ristorante, citarono più volte le generalità del
menagramo riferendo con dovizia di particolari tutte le sue prodezze.
Due credevano al potere iettatorio dell’Innominabile mentre il
terzo era titubante se non scettico. Nel giro di ventiquattro ore
dalla cena tutti e tre ebbero problemi, dalla semplice sciatica ad un
piccolo infarto mentre l’amico dubbioso fu colpito da un grave
lutto. La funesta fama di creatore di disgrazie raggiunse l’apice
e, da allora, nessuno spiccicò più il suo nome e cognome.
Il
motivo della discussione, però, non riguardava l’imbarazzante
potere dell’Impronunciabile ma l’accadimento che aveva sconvolto
tutte le certezze degli avventori di quel bar: lo iettatore l’aveva
combinata grossa. Era successo che nella mattina di quel giorno sulla
provinciale 23, la Lomazzo – Bizzarone per intenderci, un
incidente avrebbe potuto avere tragiche conseguenze perché in una
macchina tamponata da un camion rimasero imprigionati una mamma con
il proprio figlio adolescente. E invece non ci furono poiché un
uomo, con sprezzo del pericolo, riuscì ad estrarli entrambi
dall’auto un attimo prima che fosse avvolta e completamente
distrutta dalle fiamme. Quell’uomo era l’Innominabile. Potete
capire lo sconcerto che colpì tutti quelli che lo conoscevano come
il menagramo della nostra zona. Dapprima nessuno credette alla
notizia, poi i numerosi testimoni confermarono la prodezza
dell’Innominabile, anzi, tutti i presenti all’incidente ne
sottolinearono l’intrepido e solitario coraggio. Infatti,
nonostante la strada fosse trafficata in quell’ora di punta, solo
l’Innominabile ebbe la prontezza di riflessi e l’ardimento
necessario per salvare mamma e figlio. Naturale quindi che quella
sera l’argomento all’ordine del giorno nell’affollato bar
fosse: ma l’Innominabile è uno iettatore o no? Tralascio di
trascrivere le contumelie, le ingiurie, quasi tutte volgari,
scagliate dagli avventori, non è mia intenzione comportarmi da
cronista pedante. Riporto invece il succo dei vari interventi, i
ragionamenti usciti dalla discussione. Pazienza se vi sembreranno più
delle allucinazioni di ubriachi piuttosto che serie argomentazioni.
Cominciamo
con il Genesio: questi esordì dicendo di imputare all’Innominabile
il cattivo esito di un suo affare nell’ultimo inverno, lo aveva
incrociato ed aveva risposto al suo cenno di saluto mentre si recava
sul luogo di lavoro. Tralasciò di dire che l’affare era una rapina
e che il fallimento era stato determinato esclusivamente alla sua
dabbenaggine ed a quella del suo socio, il Moscerino. Comunque il
ragionamento di Genesio era semplice: nonostante l’azione
encomiabile l’Innominabile era sempre uno iettatore e quindi i due
salvati non potevano gioire più di tanto perché, prima o poi, il
malocchio li avrebbe travolti di nuovo. Il Genesio fu sommerso da
ululati di disapprovazione: insieme agli insulti, riporto il più
gentile “ma va’ a lavurà, barbun”, gli fu spiegato che non è
di competenza di un famoso iettatore salvare gli incidentati e non si
può proprio immaginare qualcosa di peggiore di un anticipo di
inferno come il bruciare vivi in mezzo alle lamiere contorte. La
parola passò quindi a Guido detto Bartali che iniziò con il suo
solito “è tutto sbagliato, tutto da rifare” perciò
l’Innominabile non poteva essere assolutamente uno iettatore, il
salvataggio di due vite umane doveva essere considerato un dato
inconfutabile. L’errore andava attribuito a chi in malafede aveva
etichettato il povero Innominabile di tale spregevole fama e, già
che c’era, accusò tutti gli avventori di non essere affatto
preparati nell’argomento malocchio “non come a Napoli, laggiù
mai e poi mai avrebbero sbagliato così clamorosamente
nell’individuare un portatore di iella: scoprire un menagramo è
un’arte e noi, poveri comaschi di periferia, siamo principianti
a confronto dei napoletani”. Le grida di scherno coprirono Guido,
le offese ancor più sanguinose di quelle che avevano sommerso
Genesio. Ovviamente gli dissero che aveva sempre considerato il
Sud dell’Italia l’inizio dell’Africa e ora, solo per aver
ragione, elevava i napoletani a maestri dell’arte iettatoria. Gli
chiesero: “come mai, fino ad ora sotto il Vesuvio c’era solo
monnezza e adesso, invece, c’è la saggezza?” Bartali
rispose con voce strozzata ed il viso paonazzo “perché sono
obiettivo e vedo il buono anche nel marcio” guadagnandosi le
sghignazzate di disapprovazione di tutto il bar, risate di scherno
interrotte dalla voce baritonale di Libero “Guido, tu puoi
provare la fondatezza della tua affermazione: non credi alla fama di
iettatore dell’Innominabile. Bene, dimostra subito, e qui, che non
ci credi, dimostralo a noi tutti, declama, senza tentennamenti,
il nome e il cognome che tutti qui conoscono ma non pronunciano mai”.
Bartali replicò bofonchiando maledizioni, minacce e roteando la mano
destra con l’indice puntato verso Libero; ma senza proferire quel
nome. Mentre il viso di Guido diventava sempre più cianotico fra gli
sguardi di commiserazione dei clienti, prese la parola Edoardo, un
vecchio e grasso pensionato. Un tipo taciturno che non parlava mai a
sproposito. Disse che nonostante l’atto di eroismo l’Innominabile
sarà sempre accreditato di portare il malocchio perché “questa è
la maschera assegnatagli dalla sorte: si nasce predestinati, chi ha
la grazia di essere un benefattore e chi l’indole dello iettatore,
puoi lottare, tentare di modificare la parte dataci dal fato ma
non ci riuscirai mai perché non si può combattere il destino”.
Alle parole di Edoardo non seguirono urla e lazzi, segno che i suoi
ragionamenti avevano colpito gli avventori del bar. Intervenne allora
Libero con un “bravo Edoardo, senza volerlo hai fatto un discorso
da perfetto calvinista” frase che stupì gli astanti perché Libero
non era un tipo facile ai complimenti mentre la citazione religiosa
non meravigliò nessuno: in quell’ambiente tutti sapevano che
Libero, tormentato dal problema “posso credere senza appartenere ad
una comunità di credenti”, si era dedicato allo studio della
Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana e, da metodico quale era, aveva
cominciato da San Pietro che pose la prima pietra e, sempre
rispettando la cronologia e il corso dei secoli, in quei giorni stava
proprio studiando i movimenti religiosi protestanti. C’era da
capirlo, il tormentato Libero, aveva già subito una fregatura dalla
chiesa marxista ed ora non voleva più ripetere il grave errore della
sua gioventù. Libero continuò dicendo “Edoardo giustamente ha
parlato di predestinazione ed è proprio del calvinismo chiamare con
questo termine l’eterno decreto di Dio mediante il quale egli ha
stabilito che cosa debba avvenire di ciascun uomo. Infatti, per i
calvinisti, non tutti sono stati creati in eguale condizione, ma agli
uni è stata predestinata la vita eterna, agli altri la dannazione
eterna. Però io distinguerei fra la predestinazione e il
giudizio della gente. Senza ombra di dubbio l’Innominabile ha
nella sua carne il destino prestabilito del menagramo e penso che la
sua azione valorosa sia stata determinata dal tentativo di
togliersi definitivamente la sua maledizione. Ma siamo sicuri che il
giudizio di chi lo conosce cambierà dopo il salvataggio degli
automobilisti? Io prevedo di no perché il pregiudizio nei suoi
confronti è radicato e chi volesse cancellarlo si troverebbe sempre
a lottare con il suo lugubre aspetto iettatorio, una esteriorità che
aiuta tutti a comprendere che l’Innominabile è un predestinato a
quel ruolo”.
Un
pesante silenzio scese nel bar quando Libero finì di parlare, solo
Bartali mormorava, con la sua voce resa afona dal gran
gridare, “però a Napoli...”.
Un
silenzio che sapeva di assenso.
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