martedì 14 agosto 2012


PERSONAGGI DI UN ALTRO SECOLO – 19
 
Avere vent’anni nel 1943. Avere vent’anni e convivere con la morte. Ogni tua decisione può costarti la vita, ma anche non decidere può comportare serie conseguenze. C’è la guerra e per la Signora con la falce sono anni di grande raccolto.
Bruno compì i venti anni il 10 di agosto del 1943. Pochi sanno che il suo vero nome non era Bruno ma Mario. Per una strana usanza del suo paese natale, Ronago, quasi tutti sono chiamati con un nome che non coincide con quello registrato all’anagrafe o in Chiesa. Bruno era il nome di un fratello maggiore morto in tenera età e la mamma, pur imponendogli il nome Mario, preferiva chiamarlo così, forse per stabilire una continuità fra i due figli che superasse il trauma della prematura scomparsa. Bruno era il quarto figlio di Carlo e Bambina, le famiglie avevano tutte numerosi figli, soprattutto quelle contadine, e il regime fascista promuoveva in tutti i modi la natalità. Tanti bambini vogliono dire tanti futuri soldati, ragionava il Duce impegnato nel pazzesco programma di forgiare un popolo di guerrieri e di riportare, lui novello Augusto, l’Impero sui colli fatali di Roma.
Bruno compì venti anni indossando la divisa grigio verde del Regio Esercito, li compì fra la Basilicata e la Calabria. Gli eserciti Alleati stavano completando l’occupazione della Sicilia, Messina sarà liberata il 17 di agosto, e Bruno dovette lasciare la sua caserma alpina di Bolzano e scendere a Sud per contrastare il previsto sbarco nella penisola. Non aveva ancora combattuto, per poco aveva evitato di finire nella bolgia russa che aveva triturato l’Armata Alpina fra il Don e Nikolajevka. L’importanza della classe di appartenenza: in Russia morirono i soldati nati nel 1920, 1921 e 1922, ora ballava la classe 1923 e, in arrivo, la 1924. Bruno non poteva sapere che le classi superiori a quella dell’anno 1926 avrebbero evitato la guerra, volontari a parte. Gli americani sbarcarono in Calabria il 3 settembre e stavano risalendo velocemente verso nord, quando esplose l’otto settembre. Sono passati tanti anni, ma non basteranno i secoli per dimenticare l’infausta data. Intendiamoci, qui non si contesta la resa alle forze alleate anglo americane ma come fu comunicata la notizia dell’armistizio, quell’ordine di “cessare immediatamente le ostilità contro le forze anglo americane e di reagire a eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza”. Il linguaggio burocratico ha un suo perverso fascino, “eventuali attacchi” perché, forse i tedeschi, che già erano sicuri del tradimento, non avrebbero eventualmente attaccato? E “qualsiasi altra provenienza” perché? C’era qualcun altro, oltre ai tedeschi, che ci poteva attaccare? Come tutti i soldati del Regio Esercito anche Bruno si trovò abbandonato, senza ordini, con i comandanti ancor più disorientati. In quel giorno di inizio settembre Bruno fu testimone e vittima della disgregazione dello Stato Italiano, comprese, con dolore, che l’Italia sbaglia sempre gli appuntamenti con la storia. E gli venne in mente suo padre Carlo, quando gli raccontava dell’altra guerra e del tracollo di Caporetto. Sì, dopo Caporetto ci fu la strenua difesa sulla linea del Piave, ma ora chi ci salverà dalla catastrofe? E, nel frattempo, cosa fare? Hai già conosciuto la feroce determinazione tedesca, la loro efficienza e baldanza. In questi pochi giorni trascorsi nel Sud dell’Italia hai visto, o meglio sentito, la terrificante potenza di fuoco degli americani. Americani che non devi più considerare nemici, mentre i tedeschi non sono più amici. In che guazzabuglio sei finito, povero Bruno? Davanti c’erano gli americani, siamo sicuri che non ti spareranno? No, meglio non aspettarli e intanto, evitiamo i tedeschi. Come? Tornando a casa. In quel giorno di settembre iniziò una collettiva anabasi dei soldati italiani. Ma, a differenza da quella raccontata da Senofonte, è un ritorno a casa disordinato dove ognuno pensava a salvare la propria pelle, e basta. Sei in un posto sconosciuto e non hai avuto il tempo di conoscerlo. Un piccolo pastore ti indica un percorso poco battuto, per non incrociare subito i tedeschi che hanno già incominciato la caccia agli italiani. Lo ringrazi e segni il suo nome, quando sarà tutto finito, se sopravvivrai, gli invierai una bella confezione di caramelle Ambrosoli come ringraziamento. E incomincia il lungo cammino verso nord, verso la tua casa distante più di mille chilometri. Incroci i binari della ferrovia, saranno la tua bussola. Non sei solo, perché altri disperati ti accompagnano, compagni occasionali perchè ognuno va secondo le proprie gambe. Hai già percorso un centinaio di chilometri e ti rendi conto che la tua divisa richiama troppo l’attenzione. Devi cambiarla, non vuoi rendere facile ai tedeschi la caccia. Di solito, quando in fondo ai binari intravedi una cittadina, fai una deviazione: i centri abitati sono presidiati dai tedeschi, meglio evitarli. Invece in questa città entri, con circospezione, sul calare della sera. Sei fortunato, una donna ti vede, ti ferma, ti domanda dove vai, gli rispondi e chiedi gentilmente di procurarti dei vestiti. La donna ti dice che ha un figlio della tua età da qualche parte nei Balcani e aiutarti per lei è un dovere, e anche un piacere, sarebbe come sostenere il suo figlio lontano. Ora indossi un abito di quel figlio, chissà se si salverà, e in cuor tuo ti dispiace di abbandonare la divisa, ti rendi conto che toglierla significa sottoscrivere le dimissioni da italiano. E’ l’istinto di sopravvivenza che ti guida, è quest’istinto che ti permette di arrivare, dopo giorni tormentati, a casa. Casa, dolce casa immersa nella collina. Ma la guerra non è finita, i fascisti si stanno riorganizzando e, con l’appoggio tedesco, ricostruiscono un esercito e tu, Bruno, sei di fronte ad un dilemma: aderire al nuovo esercito o essere considerato un disertore. Non aderisci e cerchi di espatriare in Svizzera. Ti incammini fra i boschi dietro casa e riesci a superare la rete di confine, la ramina, senza che nessuno ti veda ma, quando ormai pensi di esserti salvato, gli svizzeri non ti vogliono, devi dimostrare di appartenere al Regio Esercito o di essere un perseguitato, solo in questi casi la Confederazione aprirà i cancelli. Nulla da fare, ti riaccompagnano al confine, con squisita gentilezza ti accompagnano alla dogana di Ponte Chiasso, presidiata dai tedeschi. Ma non finisci in bocca al lupo, non è ancora giunto il tuo tempo, evidentemente, perché anche questa volta riesci a svicolare e tornare a casa, casa che non potrà più darti rifugio. Ti ospitano i Lambrughi, i vicini con la casa posta aldilà del ruscello che lambisce la tua abitazione. Strano popolo l’italiano, una collettività inadeguata, e la gestione della guerra lo dimostra ampiamente, ma con incredibili slanci di altruismo nei singoli individui: quanti aiuti hai avuto, il pastore, la mamma con il figlio soldato e ora la famiglia Lambrughi che corre notevoli rischi a nasconderti nella propria cantina. Ti fermi il tempo necessario per preparare adeguatamente l’espatrio e,            questa volta, ti accolgono nella Confederazione, ti mandano nella Svizzera interna, in un cantone francese. Vita dura, il cibo non abbonda, neanche per gli svizzeri, però lavori nelle campagne e trovi anche il tempo di imparare il francese: la scuola del Duce non era poi tanto male; certo, c’erano lezioni di mistica fascista, ma i tre anni di commerciale ti hanno dato una buona infarinatura e ti basta leggere i giornali francesi per comprendere la lingua e riuscire, poi, a conversare con gli svizzeri.
Infine, arriva il 1945 e la guerra finisce e puoi tornare, finalmente, a casa. Quando arrivi nel paesello, l’estate è già inoltrata, il caldo ti avvolge e ti sembra un buon auspicio. T’illudi, perché ti convocano presso il Comune, la nuova giunta nominata dal CLN, il Comitato di Liberazione Nazionale, vuole sentirti. Ti comunicano che c’è una denuncia contro di te: durante i primi anni della guerra avresti picchiato, in accordo ed assieme al segretario locale del PNF, il Partito Nazionale Fascista, un tale che ora chiede giustizia. Hai pochi giorni di tempo per discolparti, neanche una settimana. Non ti aspettavi certo una simile accoglienza, ma non hai  per recriminare e comprendi che la guerra civile svoltasi in tutto il Nord dell’Italia ha lasciato innumerevoli strascichi. E’ il tempo della vendetta, e qualcuno se ne approfitta per regolare anche le controversie private, non politiche. Capisci che sarà un processo difficile, soprattutto temi i comunisti presenti nella Giunta comunale che ti giudicherà. I comunisti: li hai già conosciuti in Svizzera, un folto gruppo proveniente dalla Valle d’Ossola da dove erano fuggiti, quando i nazifascisti avevano distrutto la Repubblica dell’Ossola. Li hai conosciuti e non ti erano piaciuti, troppo arroganti e fanatici. Sai anche che le loro armi non hanno smesso di funzionare con la fine della guerra, ti hanno informato delle fucilazioni di fascisti, o presunti tali, a Lurate, nella Valfresca, fra San Fermo e Como, e a Trevano il sedici di maggio, a neanche un chilometro dalla tua casa, hanno fucilato dieci fascisti fra cui una donna.  No, non sarà facile difendersi dalle accuse, anche se fortunatamente risiedi in Ronago e non in un paese dell’Emilia, lì ti avrebbero fucilato senza neanche un processo. Non sarà facile, ma non hai paura, ormai i terribili anni quaranta ti hanno rodato e non ti farai sopraffare dal panico. Anzi, non solo ti difendi, ma attacchi, smonti con irruenza le menzogne che ti gettano addosso. Ti lasciano andare, lo sguardo di tuo padre che ti aspetta fuori dl municipio manifesta un solo sentimento: terrore. Gli sorridi e con un semplice “ndemm a cà” (andiamo a casa) lo rassicuri, bastano queste poche parole per esprimere lei tue emozioni, siete lombardi di collina, stringati e sobri. Però quest’ultima vicissitudine ti è servita perché hai compreso che la povera Italia, appena uscita da una dittatura correva il grave rischio di cadere in un regime autoritario di segno opposto. Per questo ti sei impegnato, nel tuo piccolo mondo, affinché ciò non accadesse e hai contribuito alla vittoria, nelle elezioni del 18 aprile 1948, della Democrazia Cristiana ed alla sconfitta del Fronte Popolare egemonizzato dai comunisti. Con le elezioni del 1948 finisce la travagliata gioventù di Mario Quadranti detto Bruno.
Ora puoi contribuire, con il tuo assiduo lavoro, alla rinascita dell’Italia.
Ora puoi sposare la Jole, procrearmi.

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