PERSONAGGI
DI UN ALTRO SECOLO – 19
Avere
vent’anni nel 1943. Avere vent’anni e convivere con la morte.
Ogni tua decisione può costarti la vita, ma anche non decidere può
comportare serie conseguenze. C’è la guerra e per la Signora con
la falce sono anni di grande raccolto.
Bruno
compì i venti anni il 10 di agosto del 1943. Pochi sanno che il suo
vero nome non era Bruno ma Mario. Per una strana usanza del suo paese
natale, Ronago, quasi tutti sono chiamati con un nome che non
coincide con quello registrato all’anagrafe o in Chiesa. Bruno era
il nome di un fratello maggiore morto in tenera età e la mamma, pur
imponendogli il nome Mario, preferiva chiamarlo così, forse per
stabilire una continuità fra i due figli che superasse il trauma
della prematura scomparsa. Bruno era il quarto figlio di Carlo e
Bambina, le famiglie avevano tutte numerosi figli, soprattutto quelle
contadine, e il regime fascista promuoveva in tutti i modi la
natalità. Tanti bambini vogliono dire tanti futuri soldati,
ragionava il Duce impegnato nel pazzesco programma di forgiare un
popolo di guerrieri e di riportare, lui novello Augusto, l’Impero
sui colli fatali di Roma.
Bruno
compì venti anni indossando la divisa grigio verde del Regio
Esercito, li compì fra la Basilicata e la Calabria. Gli eserciti
Alleati stavano completando l’occupazione della Sicilia, Messina
sarà liberata il 17 di agosto, e Bruno dovette lasciare la sua
caserma alpina di Bolzano e scendere a Sud per contrastare il
previsto sbarco nella penisola. Non aveva ancora combattuto, per poco
aveva evitato di finire nella bolgia russa che aveva triturato
l’Armata Alpina fra il Don e Nikolajevka. L’importanza della
classe di appartenenza: in Russia morirono i soldati nati nel 1920,
1921 e 1922, ora ballava la classe 1923 e, in arrivo, la 1924. Bruno
non poteva sapere che le classi superiori a quella dell’anno 1926
avrebbero evitato la guerra, volontari a parte. Gli americani
sbarcarono in Calabria il 3 settembre e stavano risalendo velocemente
verso nord, quando esplose l’otto settembre. Sono passati tanti
anni, ma non basteranno i secoli per dimenticare l’infausta data.
Intendiamoci, qui non si contesta la resa alle forze alleate anglo
americane ma come fu comunicata la notizia dell’armistizio,
quell’ordine di “cessare immediatamente le ostilità contro le
forze anglo americane e di reagire a eventuali attacchi di qualsiasi
altra provenienza”. Il linguaggio burocratico ha un suo perverso
fascino, “eventuali attacchi” perché, forse i tedeschi, che già
erano sicuri del tradimento, non avrebbero eventualmente attaccato? E
“qualsiasi altra provenienza” perché? C’era qualcun altro,
oltre ai tedeschi, che ci poteva attaccare? Come tutti i soldati del
Regio Esercito anche Bruno si trovò abbandonato, senza ordini, con i
comandanti ancor più disorientati. In quel giorno di inizio
settembre Bruno fu testimone e vittima della disgregazione dello
Stato Italiano, comprese, con dolore, che l’Italia sbaglia sempre
gli appuntamenti con la storia. E gli venne in mente suo padre Carlo,
quando gli raccontava dell’altra guerra e del tracollo di
Caporetto. Sì, dopo Caporetto ci fu la strenua difesa sulla linea
del Piave, ma ora chi ci salverà dalla catastrofe? E, nel frattempo,
cosa fare? Hai già conosciuto la feroce determinazione tedesca, la
loro efficienza e baldanza. In questi pochi giorni trascorsi nel Sud
dell’Italia hai visto, o meglio sentito, la terrificante potenza di
fuoco degli americani. Americani che non devi più considerare
nemici, mentre i tedeschi non sono più amici. In che guazzabuglio
sei finito, povero Bruno? Davanti c’erano gli americani, siamo
sicuri che non ti spareranno? No, meglio non aspettarli e intanto,
evitiamo i tedeschi. Come? Tornando a casa. In quel giorno di
settembre iniziò una collettiva anabasi dei soldati italiani. Ma, a
differenza da quella raccontata da Senofonte, è un ritorno a casa
disordinato dove ognuno pensava a salvare la propria pelle, e basta.
Sei in un posto sconosciuto e non hai avuto il tempo di conoscerlo.
Un piccolo pastore ti indica un percorso poco battuto, per non
incrociare subito i tedeschi che hanno già incominciato la caccia
agli italiani. Lo ringrazi e segni il suo nome, quando sarà tutto
finito, se sopravvivrai, gli invierai una bella confezione di
caramelle Ambrosoli come ringraziamento. E incomincia il lungo
cammino verso nord, verso la tua casa distante più di mille
chilometri. Incroci i binari della ferrovia, saranno la tua bussola.
Non sei solo, perché altri disperati ti accompagnano, compagni
occasionali perchè ognuno va secondo le proprie gambe. Hai già
percorso un centinaio di chilometri e ti rendi conto che la tua
divisa richiama troppo l’attenzione. Devi cambiarla, non vuoi
rendere facile ai tedeschi la caccia. Di solito, quando in fondo ai
binari intravedi una cittadina, fai una deviazione: i centri abitati
sono presidiati dai tedeschi, meglio evitarli. Invece in questa città
entri, con circospezione, sul calare della sera. Sei fortunato, una
donna ti vede, ti ferma, ti domanda dove vai, gli rispondi e chiedi
gentilmente di procurarti dei vestiti. La donna ti dice che ha un
figlio della tua età da qualche parte nei Balcani e aiutarti per lei
è un dovere, e anche un piacere, sarebbe come sostenere il suo
figlio lontano. Ora indossi un abito di quel figlio, chissà se si
salverà, e in cuor tuo ti dispiace di abbandonare la divisa, ti
rendi conto che toglierla significa sottoscrivere le dimissioni da
italiano. E’ l’istinto di sopravvivenza che ti guida, è
quest’istinto che ti permette di arrivare, dopo giorni tormentati,
a casa. Casa, dolce casa immersa nella collina. Ma la guerra non è
finita, i fascisti si stanno riorganizzando e, con l’appoggio
tedesco, ricostruiscono un esercito e tu, Bruno, sei di fronte ad un
dilemma: aderire al nuovo esercito o essere considerato un disertore.
Non aderisci e cerchi di espatriare in Svizzera. Ti incammini fra i
boschi dietro casa e riesci a superare la rete di confine, la ramina,
senza che nessuno ti veda ma, quando ormai pensi di esserti salvato,
gli svizzeri non ti vogliono, devi dimostrare di appartenere al Regio
Esercito o di essere un perseguitato, solo in questi casi la
Confederazione aprirà i cancelli. Nulla da fare, ti riaccompagnano
al confine, con squisita gentilezza ti accompagnano alla dogana di
Ponte Chiasso, presidiata dai tedeschi. Ma non finisci in bocca al
lupo, non è ancora giunto il tuo tempo, evidentemente, perché anche
questa volta riesci a svicolare e tornare a casa, casa che non potrà
più darti rifugio. Ti ospitano i Lambrughi, i vicini con la casa
posta aldilà del ruscello che lambisce la tua abitazione. Strano
popolo l’italiano, una collettività inadeguata, e la gestione
della guerra lo dimostra ampiamente, ma con incredibili slanci di
altruismo nei singoli individui: quanti aiuti hai avuto, il pastore,
la mamma con il figlio soldato e ora la famiglia Lambrughi che corre
notevoli rischi a nasconderti nella propria cantina. Ti fermi il
tempo necessario per preparare adeguatamente l’espatrio e,
questa
volta, ti accolgono nella Confederazione, ti mandano nella Svizzera
interna, in un cantone francese. Vita dura, il cibo non abbonda,
neanche per gli svizzeri, però lavori nelle campagne e trovi anche
il tempo di imparare il francese: la scuola del Duce non era poi
tanto male; certo, c’erano lezioni di mistica fascista, ma i tre
anni di commerciale ti hanno dato una buona infarinatura e ti basta
leggere i giornali francesi per comprendere la lingua e riuscire,
poi, a conversare con gli svizzeri.
Infine,
arriva il 1945 e la guerra finisce e puoi tornare, finalmente, a
casa. Quando arrivi nel paesello, l’estate è già inoltrata, il
caldo ti avvolge e ti sembra un buon auspicio. T’illudi, perché ti
convocano presso il Comune, la nuova giunta nominata dal CLN, il
Comitato di Liberazione Nazionale, vuole sentirti. Ti comunicano che
c’è una denuncia contro di te: durante i primi anni della guerra
avresti picchiato, in accordo ed assieme al segretario locale del
PNF, il Partito Nazionale Fascista, un tale che ora chiede giustizia.
Hai pochi giorni di tempo per discolparti, neanche una settimana. Non
ti aspettavi certo una simile accoglienza, ma non hai per
recriminare e comprendi che la guerra civile svoltasi in tutto il
Nord dell’Italia ha lasciato innumerevoli strascichi. E’ il tempo
della vendetta, e qualcuno se ne approfitta per regolare anche le
controversie private, non politiche. Capisci che sarà un processo
difficile, soprattutto temi i comunisti presenti nella Giunta
comunale che ti giudicherà. I comunisti: li hai già conosciuti in
Svizzera, un folto gruppo proveniente dalla Valle d’Ossola da dove
erano fuggiti, quando i nazifascisti avevano distrutto la Repubblica
dell’Ossola. Li hai conosciuti e non ti erano piaciuti, troppo
arroganti e fanatici. Sai anche che le loro armi non hanno smesso di
funzionare con la fine della guerra, ti hanno informato delle
fucilazioni di fascisti, o presunti tali, a Lurate, nella Valfresca,
fra San Fermo e Como, e a Trevano il sedici di maggio, a neanche un
chilometro dalla tua casa, hanno fucilato dieci fascisti fra cui una
donna. No, non sarà facile difendersi dalle accuse, anche se
fortunatamente risiedi in Ronago e non in un paese dell’Emilia, lì
ti avrebbero fucilato senza neanche un processo. Non sarà facile, ma
non hai paura, ormai i terribili anni quaranta ti hanno rodato e non
ti farai sopraffare dal panico. Anzi, non solo ti difendi, ma
attacchi, smonti con irruenza le menzogne che ti gettano addosso. Ti
lasciano andare, lo sguardo di tuo padre che ti aspetta fuori dl
municipio manifesta un solo sentimento: terrore. Gli sorridi e con un
semplice “ndemm a cà” (andiamo a casa) lo rassicuri, bastano
queste poche parole per esprimere lei tue emozioni, siete lombardi di
collina, stringati e sobri. Però quest’ultima vicissitudine ti è
servita perché hai compreso che la povera Italia, appena uscita da
una dittatura correva il grave rischio di cadere in un regime
autoritario di segno opposto. Per questo ti sei impegnato, nel tuo
piccolo mondo, affinché ciò non accadesse e hai contribuito alla
vittoria, nelle elezioni del 18 aprile 1948, della Democrazia
Cristiana ed alla sconfitta del Fronte Popolare egemonizzato dai
comunisti. Con le elezioni del 1948 finisce la travagliata gioventù
di Mario Quadranti detto Bruno.
Ora
puoi contribuire, con il tuo assiduo lavoro, alla rinascita
dell’Italia.
Ora
puoi sposare la Jole, procrearmi.
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