venerdì 6 gennaio 2012

PERSONAGGI DI UN ALTRO SECOLO - 6 –
Laura aveva un problema di difficile soluzione. Non sapeva come dire alla mamma del brutto voto preso in matematica; beh, proprio brutto non era visto che si trattava di un cinque, però prevedeva che la mamma non sarebbe stata dello stesso parere e quel cinque avrebbe raggiunto nelle stridule ripetizioni materne “Hai preso cinque? Oddio, hai preso cinqueeeeeeee…” vette inarrivabili di orrore. Purtroppo l’insufficienza era arrivata nel momento sbagliato, proprio ora che si stava preparando un sabato da sballo con la festa di compleanno della Betta, l’ultima occasione di agganciare Mattia, non poteva permettere che la reazione della madre all’insufficienza potesse essere il divieto di uscire la sera. Doveva studiare una inattaccabile strategia difensiva, però il tempo lottava contro di lei, era già venerdì, maledizione, quell’insopportabile di una prof. non poteva aspettare a consegnare la verifica, e no, lei aveva il record di velocità di correzione dei compiti in tutto il Liceo Terragni e ci teneva a mantenerlo. Scartò subito l’idea di nascondere alla mamma il voto, fin da bambina non aveva mai mentito, proprio non ci riusciva e non voleva incominciare ora che aveva sedici anni a raccontare bugie. No, doveva trovare un’altra via d’uscita. Intanto saliva sull’autobus che l’avrebbe portata a casa. Anche Vittorio aveva un problema di difficile soluzione. Doveva assolutamente trovare il modo di fare la pace con Monica, la sua ragazza. O meglio, dall’ultima notte, la sua ex ragazza. Era stato lasciato alla una e quarantacinque di quel 13 novembre del 1998. Non aveva alcun dubbio sulla fatale ora perché rimase fisso a guardare il suo telefonino fino a quando il cinque dei minuti si trasformò in sei mentre in testa gli rimbombava il ”sei un maiale, non ti voglio più vedere” che Monica gli aveva urlato prima di chiudere la telefonata. Il cellulare, così insostituibile e pericoloso. Vittorio aveva accompagnato Monica a casa a mezzanotte e poi aveva commesso l’errore di non spegnerlo; sbagliò di nuovo a non disattivarlo quando Monica gli fece uno squillo all’una e trenta, quando lo ripeté alla una e trentacinque. Scivolò nella catastrofe all’una e quaranta quando cedette ai ripetuti squilli della ragazza. Non seppe rispondere in modo convincente ai “Che cosa stai facendo? Dove sei?” urlati da Monica, disse di trovarsi a casa ma in un modo così inappropriato che Monica subito rispose ”Ah si, sei a casa, bene, vorrà dire che ti chiamo sul tuo telefono fisso” e Vittorio si trovò spiazzato, non seppe imbastire una congrua difesa anzi, crollò miseramente dicendo di essere a spasso e poi tutto finì in una ingloriosa Caporetto quando ammise di non essere solo ma in dolce compagnia. Compagnia che già alle tre non gli sembrava più dolce, peggio ancora era un’estranea da cui liberarsi il più velocemente possibile; bruscamente disse “Guarda cosa ho combinato, per favore lasciami solo”. La donna non si oppose: del resto era per entrambi l’avventura di una notte. Però il danno era stato fatto ed adesso, mentre tornava a casa ad Uggiate per la pausa di lavoro guidando meditabondo con il pensiero fisso di Monica in testa, doveva assolutamente trovare una occasione per riconquistarla. Sì, pensò Laura mentre l’autobus percorreva la Via Tarchini di Olgiate, l’unica soluzione possibile è il papà. Solo lui poteva convincere la mamma che “Quel cinque, infine, non è poi irrecuperabile, basta solo un po’ di impegno supplementare, un maggior tempo impiegato negli esercizi, d’altronde la nostra Lauretta ha sempre capito la matematica”. Solo lui sarebbe stato capace di rintuzzare il “Verissimo, l’ha sempre capita proprio bene, infatti, vediamo i risultati” urlato dalla mamma con un “Amore, dai non esagerare, non puoi proprio lamentarti di nostra figlia, in tutti questi anni non ci hai mai deluso, si è applicata con assiduità e costanza, per una volta che ha sbagliato non possiamo punirla così severamente da impedirle di festeggiare domani la sua amica”. In seguito il papà si sarebbe ripreso con gli interessi l’aiuto dato: a lui piaceva tirarla in giro, sfruttando le sue debolezze. Per esempio il colore dei suoi capelli: Laura aveva la chioma di un bel biondo cenere, però, a causa delle fisime tipiche della sua età, non era per niente soddisfatta di quel colore così lasciò sfogare il suo parrucchiere con i colpi di sole ed altre diavolerie della cosmetica. Il risultato fu che il padre i giorni dispari sosteneva che aveva i capelli tricolori, come un Lassie, un pastore scozzese, ed i giorni pari citava il colore Isabella dei cavalli, quella particolare tonalità giallo fulvo del mantello equino che prendeva nome della regina di Spagna la quale decise di non lavarsi più i capelli fino a che la Spagna non fosse stata liberata dai Mori. Anche un papà esperto ippiatrico le doveva capitare e Laura era sicura che nei giorni successivi il sarcasmo paterno sarebbe aumentato. Intanto l’autobus si arrampicava sulla collina del Gerbo. La soluzione, pensò Vittorio, è un bel mazzo di rose rosse: non subito, perché sarebbero tornate immediatamente al mittente magari usate a mo’ di randello sulla sua testa, non doveva assolutamente lasciarsi trascinare dalla fretta di rappacificarsi. Per un po’ di giorni sarebbe stato meglio non farsi vedere, sparire. E poi c’era da controllare l’espressione del viso e le parole quando finalmente si sarebbero rivisti, sguardo umile da cane bastonato tale da esaltare l’istinto materno di Monica e parole misurate, ma senza piaggeria, ammettere sì l’errore ma con dignità, appunto si trattava di una semplice sbandata, Monica non poteva negare che quello fosse stato il primo torto da lei subito e sicuramente, Vittorio avrebbe giurato solennemente, sarebbe stato il primo e l’unico. In verità l’incontro furtivo della sera precedente era solo il primo tradimento di cui Monica venne a conoscenza perché altre volte Vittorio era stato infedele ma questo era dovuto al fatto che a Vittorio piacevano le donne o, detto meglio, a Vittorio piacevano le donne belle. Purtroppo per lui le belle donne erano un numero ragguardevole e Vittorio non sempre controllava l’istinto, l’istinto del gallo nel pollaio per intenderci. Però capiva inconsciamente che Monica aveva qualche cosa in più delle altre, si rendeva conto che non poteva più vivere lontano da lei, senza quelle conversazioni che lo stimolavano e gli davano nello stesso tempo un senso di armoniosa tranquillità. Giusto, con Monica si sentiva tranquillo ed appagato, non poteva perderla, doveva fortissimamente riconquistarla. Intanto, giunto a Parè un autotreno con rimorchio che lo precedeva prese la direzione per Drezzo: Vittorio di solito percorreva quella strada per scendere in Val Mulini e poi risalire ad Uggiate, invece decise di proseguire verso Gironico e Faloppio perché non voleva stare incollato a quel veicolo puzzolente ed un sorpasso su una strada così tortuosa sarebbe stato azzardato. Ormai sicura di aver trovato la soluzione con i genitori ora Laura pensava già a cosa avrebbe indossato per la festa di compleanno. Anche qui i problemi non mancavano perché la Betta aveva imposto, pena l’esclusione, che le invitate non indossassero minigonne e non si presentassero con trucchi particolareggiati perché, è chiaro, solo lei doveva rifulgere nella festa e nessuna delle altre ragazze poteva permettersi di rubarle il centro dell’attenzione. Atteggiamento infame, indice di scarsa fiducia nei propri mezzi, pensò Laura; avrebbe voluto dire no all’invito, d’altra parte la festa di compleanno sarebbe stata un’opportunità troppo ghiotta per conoscere Mattia, il cugino della Betta, quel bel ragazzo con i capelli ricci e occhi azzurri. Studiava a Como, al Setificio, quindi le occasioni per farsi notare erano poche, non poteva correre il rischio di non vederlo quel sabato, chissà quando si sarebbe ripresentata una nuova possibilità. All’improvviso nella sua mente apparve nitido un pensiero allucinante, da incubo, e fissando il vetro sporco dell’autobus cercò, con rapidi movimenti della testa, di veder riflesso il proprio viso alla ricerca non si sa bene di difetti o di una conferma alla propria bellezza perché il pensiero era “non rimarrò mica zitella?” La frenata del pullman la distolse dall’insorgente preoccupazione, era arrivata alla sua fermata, quella della farmacia di Gaggino. No, le rose rosse non erano sufficienti per far dimenticare a Monica l’affronto subito, era un tipo orgoglioso e ci voleva qualche cosa d’altro per riconquistarla. Vittorio non voleva ammetterlo ma c’era un’idea che gli balenava in testa da un po’, ormai aveva ventotto anni e quella vita frenetica da Don Giovanni di periferia cominciava a tediarlo, era giunta l’ora di mettere su famiglia e, fra tutte le sue conoscenze nell’arcipelago femminile, l’unica con cui condividere una vita in comune era solo lei, Monica. Insieme ai fiori ci sarebbe stato anche la domanda di rito “Monica vuoi sposarmi?”. Vittorio sapeva di rischiare moltissimo con tale richiesta, però puntava sul fatto che Monica non si aspettava assolutamente una cosa del genere; quando lei, nei lunghi pomeriggi festivi trascorsi assieme, aveva tastato il terreno per controllare se lui avesse una qualche intenzione di portarla all’altare, Vittorio era sempre svicolato con destrezza. Ora sperava che la ragazza fosse colpita da quella domanda sicuramente inaspettata. Del resto ormai non aveva più nulla da perdere, poteva benissimo rischiare, come in una partita a poker lui rilanciava, sperando che il suo full d’assi fosse sufficiente. E con in testa la faccia ovale di Monica ornata dai capelli neri a caschetto superò il semaforo di Gaggino mentre il giallo si spegneva per lasciare il passo al rosso. Laura scese dall’autobus con l’intenzione di arrivare a casa il più in fretta possibile, voleva togliersi subito il dente dolente, si mise davanti al muso del pullman aspettando che tutte le auto provenienti dal semaforo passassero e, dopo l’ultima, attraversò. Purtroppo per lei non tutte le auto erano transitate e, quando ormai si era mossa e si trovava al centro della carreggiata, sopraggiunse la macchina di Vittorio che la arpionò con lo specchietto di destra e facendole sbattere violentemente il capo sull’asfalto. Vittorio subito non capì che gran danno avesse procurato: era una giornata di novembre umida e piovigginosa dove tutto, paesaggio, persone, sembra sfuocato. Comprese di aver toccato qualcosa con la parte destra della sua auto, ma si rese conto del disastro quando, fermatosi dopo alcuni metri vide, spalancata la portiera, una ragazzina che urlava disperata ed uno studente che vomitava. Infine notò Laura con i lunghi capelli sparsi sull’asfalto bagnato dalla pioggia ma anche da un rivolo del suo sangue. Un tremendo destino volle che in quel pomeriggio autunnale due giovani si incontrassero per la prima ed ultima volta. Laura, morta così prematuramente da non poter comprendere quanto fossero futili le sue preoccupazioni e Vittorio che, fino a quel momento, aveva vissuto come se tutto fosse un gioco ed ora doveva convivere con continui tormenti: se avesse percorso la solita strada quel maledetto giorno, se si fosse fermato con il semaforo giallo, se fosse stato più prudente nella guida.