PERSONAGGI
DI UN ALTRO SECOLO – 16
La
data di nozze fu fissata per la metà di maggio. Ci si sposa nel mese
di maggio o di settembre, aveva detto Monica e Vittorio assecondò il
volere della compagna. Come aveva accontentato tutti i desideri della
futura sposa in quel lungo periodo di preparazione al matrimonio.
Anche la più assurda: Monica non voleva che la notte prima delle
nozze la passassero assieme. “Conviviamo da un anno - cercò di
resistere Vittorio - spiegami cosa significa dormire separatamente la
notte della vigilia?” Monica tirò in ballo la tradizione da
rispettare: “Quando mai una coppia dorme nello stesso letto prima
della cerimonia?”. E poi non sarebbe stato di buon auspicio per il
successo del matrimonio. Non solo impose al futuro marito di uscire
quella notte, ma si ingegnò per organizzargli un addio al celibato
in buona compagnia. Monica si fidava del compagno, ma non così tanto
da renderla totalmente sicura. Per evitare che la festa degenerasse,
scelse accuratamente, fra gli amici di Vittorio, quelli meno
trasgressivi. Naturalmente il primo convocato fu Libero, così
stancante per il suo fervore religioso, ma utile invece per quanto
riguarda l’aspetto morale; poi Pompeo, nevrotico con le sue
fissazioni sulle malattie, ed infine Gigi che sì, è vero, lui
pensava al sesso, ma lo collegava solo alla conquista di Tiziana, le
altre ragazze non le considerava proprio. Fra gli amici di Vittorio,
i tre prescelti erano i più inoffensivi e, rifletteva Monica, non
solo non avrebbero condotto Vittorio in avventure licenziose, ma
erano, loro stessi, i migliori deterrenti immaginabili. Fu così che
in quella sera di maggio i quattro amici si recarono in un noto
locale di Villa Guardia. Guidava Vittorio, mentre Libero, seduto al
suo fianco, si lamentava perché erano le undici, un’ora buona per
rincasare non quella più adatta ad iniziare una serata. Non fu
l’unica lamentela di Libero perché, con parecchi anni in più
rispetto agli altri compagni d’avventura, era rimasto alle vecchie
balere, non immaginava che le discoteche moderne fossero una
combinazione infernale di rumori e luci fastidiose. Smarrimento
comprensibile, Libero era un uomo ciarliero, quasi logorroico, ma
qui, in questo ambiente, dove per intendersi bisognava urlare
nell’orecchio del vicino, non poteva trovarsi a proprio agio.
Neanche gli altri si divertivano: Pompeo pensava all’appuntamento
con il dentista del prossimo lunedì; già l’andare
dall’odontoiatra lo metteva in agitazione, ora aveva programmato un
lungo intervento con uso di viti e ponti che lasciavano intendere una
sola cosa certa, il dolore. E da vero fifone, Pompeo stava male molto
prima di sistemarsi sulla poltrona del dentista. Gigi voleva invece
risolvere il problema Tiziana: sfruttando la prevedibile atmosfera
allegra del matrimonio di Monica e Vittorio le avrebbe rivelato il
suo entusiastico amore. Certo, avrebbe calcolato bene il tempo ed il
modo della dichiarazione, nel frattempo si tormentava a causa
dell’ansia e per il timore che Tiziana non rispondesse
positivamente. Non dimostrava allegria neanche il festeggiato:
Vittorio aveva un’espressione annoiata, i continui sguardi
all’orologio tradivano la volontà di vedere il più presto
possibile la fine della serata. Così, dimostrando che ci si può
annoiare anche in mezzo ad una folla urlante, i quattro amici
tirarono svogliatamente fino alle tre, quando la stanchezza ebbe il
sopravvento. Lasciarono il locale e Vittorio portò a casa
prima Gigi e poi Pompeo. Sceso quest’ultimo disse a Libero
“finalmente, ora inizia la commemorazione”. L’assonnato Libero
non disse nulla, ma pensò che l’amico aveva bevuto troppo. Non
proferì nulla neanche quando l’auto non si fermò davanti alla sua
abitazione e proseguì in direzione Ronago. Giunto in località Ponte
della Passera, a Trevano, Vittorio accostò la macchina e si fermò,
a sinistra della strada, all’inizio di un ripido sentiero. “Come
senza dubbio sai - disse a Libero - in questo punto, nel maggio del
1945, dieci fascisti furono fucilati dai comunisti. Per la precisione
accadde il 16 maggio, come oggi, giorno del mio matrimonio. E noi due
li rievocheremo, accendendo dieci lumini”. Infatti, Vittorio aprì
il baule dell’auto ed estrasse dieci piccoli cerini. “E’ il
terzo anno consecutivo che li accendo – spiegò Vittorio - e
quest’anno, grazie alle fissazioni di Monica, per la
prima volta non sarò solo”. Libero dimenticò la stanchezza
e, con voce tremolante, segno di turbamento, disse all’amico:
“Perdinci, non avrei mai immaginato che tu fossi un fascista”.
Vittorio rispose subito, con una leggera stizza, “mi deludi,
pensavo che tu fossi arguto, infatti, non ho accennato nulla delle
mie intenzioni a Pompeo e Gigi, non avrebbero capito, ma tu Libero…
dimmi, da che parte stavi, con gli indiani o con i cowboy?”. Libero
d’impulso rispose: “uno come me cresciuto leggendo Tex Willer, ed
ho avuto la fortuna di leggere, da ragazzo, persino i primi numeri,
non può essere che dalla parte dei pellerossa, ma, spiegami, cosa
c’entrano indiani e cowboy con i fascisti?”. “Eccome se
c’entrano – ribatté Vittorio – almeno con quella specie
particolare di fascisti che furono i repubblichini: una tribù di
perdenti che, come gli indiani d’America, combatteva contro
gli invasori Yankee ben sapendo di avere come unica certezza la
sconfitta, vista la enorme disparità delle forze in campo. E con la
disfatta ci sarebbe stata la colonizzazione. Di sicuro andò peggio
agli indiani, ma, non lo puoi negare, anche noi siamo stati
colonizzati, nel modo di pensare, nel vestire, perfino
nell’alimentazione, anche se in questo campo specifico resistiamo
ancora bene. Così come mi erano simpatici gli indiani d’America,
devo confessarti di avere avuto da sempre, non dico una simpatia, ma
di sicuro un forte interesse per i fascisti repubblichini. Non per il
fascismo vincente ed osannato del Ventennio, ma per i disperati che
difendevano un’epoca destinata ad essere spazzata via per sempre. E
le vicende della mia vita mi hanno condotto ad aumentare
quest’attrazione. Perché anch’io sono uno sconfitto: lo sai che
l’altro giorno ho incrociato il padre di Laura e questi mi ha
detto, fissandomi con odio, < ti sposi bastardo, mentre mia
figlia l’hai mandata sottoterra, che tu sia maledetto nei secoli
dei secoli >. Incredibile, ha usato questa formula da preghiera
per condannarmi eternamente. Come puoi benissimo capire, pure io sono
un dannato che non avrà mai perdono, per questo motivo mi sento
simile ai dieci fascisti ammazzati qui”.
Libero
rimase pensieroso per un po’, con il mento appoggiato sul pollice
della mano sinistra e il naso sull’indice, poi disse: “con i miei
trascorsi comunisti puoi ben capire, caro Vittorio, che i fascisti
non mi sono graditi. Però le tue sincere motivazioni mi piacciono e
posso partecipare alla tua commemorazione, considerato che ricordiamo
degli sconfitti e non celebriamo un’ideologia che non ci
appartiene”. “Bene, disse Vittorio, ti chiedo un ultimo favore,
li ricorderemo nello stesso modo usato dai loro camerati, io dirò i
nomi dei dieci e tu risponderai ogni volta con uno stentoreo:
Presente!”. Libero borbottò un po’, maledicendo l’amico e le
sue strane fissazioni, ma ubbidì. Vittorio lesse i seguenti nomi,
date di nascita ed incarico :
·
Forni
Antonio di Giacomo, Tenente della Divisione San Marco 3 Rgt. Art.
nato a Maslianico il 21/09/1904,
·
Gatti
Francesco di Pietro nato a Samolaco (SO) il 22/07/1922
·
Mauri
Vittorio di Federico, Milite della Guardia Nazionale Repubblicana,
nato a Cesano Maderno (MI) il 27/06/1894
·
Melis
Mario di Giovanni, nato a Terralba (CA), di anni 42, residente a
Maslianico
·
Nessi
Elisabetta di Giovanni in Cassina, civile, domestica, nata a Piazza
Santo Stefano il 01/11/1901, residente a Maslianico
·
Penati
Luigi, Milite della Guardia Nazionale Repubblicana,nato a Cantù, di
anni 21, ivi residente
·
Nello
Mario
Fra
un nome e l’altro Vittorio rimase in silenzio per un istante per
dar modo a Libero di gridare il suo Presente! Poi disse “di tre
fucilati non si sa il nome, per tre volte dirò Caduto Ignoto e tu mi
risponderai Presente” e così fecero. Libero eseguì perfettamente:
solo dopo il nome della donna commentò con un “poveretta, chissà
quale colpa avrà commesso, sempre che di colpa si debba parlare”.
Alla fine dell’elenco Libero chiese all’amico “dove cavolo hai
trovato i nomi dei fucilati?”. “Semplice – rispose Vittorio –
in Internet si trova tutto, basta saper cercare. Ed è un bel
paradosso che un sistema creato dai militari americani per scopi,
almeno all’inizio, difensivi sia pieno di siti esplicitamente
antiamericani”.
I
due amici attesero nell’auto che i lumini si spegnessero. Nel
lettore CD dell’auto Vittorio aveva inserito un disco con canzoni
di gruppi e cantanti neofascisti. Nomi e canzoni che Libero non aveva
mai sentito, di cui non sospettava neppure l’esistenza. Fu colpito,
in particolare da due canzoni: nella prima, di Massimo Morsello (è
il De Gregori nero, gli spiegò Vittorio, spiegazione inutile perché
Libero non conosceva né l’uno né l’altro) c’erano frasi come
Entrammo
nella vita dalla porta sbagliata in un tempo vigliacco, con la faccia
sudata,
e
poi
Pregammo
la vita di non farci morire, se non c'era un tramonto da poter
ricordare,per
finire con un di
un ragazzo a vent'anni che moriva da vecchio frasi,
pensò Libero, che potevano benissimo essere dedicate ai morti del
Ponte della Passera. L’altra canzone era di un complesso dal nome
strano, 270 bis (è un articolo del codice penale, spiegò Vittorio,
ma Libero non capì quale fosse la relazione con i cantanti) e, già
dal titolo, Claretta e Ben, preannunciava il testo, un completo
martirologio dei camerati morti, da Piazzale Loreto fino ai più
recenti degli anni settanta, come le stragi di Primavalle e di Acca
Larentia. Di quest’ultima canzone Libero imparò subito
l’orecchiabile ritornello che diceva: Io,
ho il cuore nero e tanta gente mi vorrebbe al cimitero, ma, io ho il
cuore nero e me ne frego e sputo in faccia al mondo intero.“Sì
- disse Libero ad alta voce - questa frase è la sintesi della vita
dei dieci ammazzati qui. E sarebbe giusto chiudere con questa canzone
la nostra celebrazione. Ma non siamo fascisti. E i morti si
ricordano, tutti, in un solo modo. Considerato il periodo in cui sono
caduti, reciterò la preghiera in latino:
Réquiem
ætérnam dona eis, Dómine, et lux perpetua lùceat eis. Requiéscant
in pace. Amen. Ed ora andiamo, Vittorio, sta albeggiando, non vorrai
correre il rischio di rompere la tradizione, è la sposa che si fa
desiderare ed arriva in ritardo.”
A
Giampaolo Pansa e Luca Telese, giornalisti della
sponda
sinistra del mondo, che, con i loro scritti,
non
permettono l’oblio degli sconfitti dell’altra riva.
13/08/2008
Nessun commento:
Posta un commento