martedì 14 agosto 2012


PERSONAGGI DI UN ALTRO SECOLO – 16
La data di nozze fu fissata per la metà di maggio. Ci si sposa nel mese di maggio o di settembre, aveva detto Monica e Vittorio assecondò il volere della compagna. Come aveva accontentato tutti i desideri della futura sposa in quel lungo periodo di preparazione al matrimonio. Anche la più assurda: Monica non voleva che la notte prima delle nozze la passassero assieme. “Conviviamo da un anno - cercò di resistere Vittorio - spiegami cosa significa dormire separatamente la notte della vigilia?” Monica tirò in ballo la tradizione da rispettare: “Quando mai una coppia dorme nello stesso letto prima della cerimonia?”. E poi non sarebbe stato di buon auspicio per il successo del matrimonio. Non solo impose al futuro marito di uscire quella notte, ma si ingegnò per organizzargli un addio al celibato in buona compagnia. Monica si fidava del compagno, ma non così tanto da renderla totalmente sicura. Per evitare che la festa degenerasse, scelse accuratamente, fra gli amici di Vittorio, quelli meno trasgressivi. Naturalmente il primo convocato fu Libero, così stancante per il suo fervore religioso, ma utile invece per quanto riguarda l’aspetto morale; poi Pompeo, nevrotico con le sue fissazioni sulle malattie, ed infine Gigi che sì, è vero, lui pensava al sesso, ma lo collegava solo alla conquista di Tiziana, le altre ragazze non le considerava proprio. Fra gli amici di Vittorio, i tre prescelti erano i più inoffensivi e, rifletteva Monica, non solo non avrebbero condotto Vittorio in avventure licenziose, ma erano, loro stessi, i migliori deterrenti immaginabili. Fu così che in quella sera di maggio i quattro amici si recarono in un noto locale di Villa Guardia. Guidava Vittorio, mentre Libero, seduto al suo fianco, si lamentava perché erano le undici, un’ora buona per rincasare non quella più adatta ad iniziare una serata. Non fu l’unica lamentela di Libero perché, con parecchi anni in più rispetto agli altri compagni d’avventura, era rimasto alle vecchie balere, non immaginava che le discoteche moderne fossero una combinazione infernale di rumori e luci fastidiose. Smarrimento comprensibile, Libero era un uomo ciarliero, quasi logorroico, ma qui, in questo ambiente, dove per intendersi bisognava urlare nell’orecchio del vicino, non poteva trovarsi a proprio agio. Neanche gli altri si divertivano: Pompeo pensava all’appuntamento con il dentista del prossimo lunedì; già l’andare dall’odontoiatra lo metteva in agitazione, ora aveva programmato un lungo intervento con uso di viti e ponti che lasciavano intendere una sola cosa certa, il dolore. E da vero fifone, Pompeo stava male molto prima di sistemarsi sulla poltrona del dentista. Gigi voleva invece risolvere il problema Tiziana: sfruttando la prevedibile atmosfera allegra del matrimonio di Monica e Vittorio le avrebbe rivelato il suo entusiastico amore. Certo, avrebbe calcolato bene il tempo ed il modo della dichiarazione, nel frattempo si tormentava a causa dell’ansia e per il timore che Tiziana non rispondesse positivamente. Non dimostrava allegria neanche il festeggiato: Vittorio aveva un’espressione annoiata, i continui sguardi all’orologio tradivano la volontà di vedere il più presto possibile la fine della serata. Così, dimostrando che ci si può annoiare anche in mezzo ad una folla urlante, i quattro amici tirarono svogliatamente fino alle tre, quando la stanchezza ebbe il sopravvento.  Lasciarono il locale e Vittorio portò a casa prima Gigi e poi Pompeo. Sceso quest’ultimo disse a Libero “finalmente, ora inizia la commemorazione”. L’assonnato Libero non disse nulla, ma pensò che l’amico aveva bevuto troppo. Non proferì nulla neanche quando l’auto non si fermò davanti alla sua abitazione e proseguì in direzione Ronago. Giunto in località Ponte della Passera, a Trevano, Vittorio accostò la macchina e si fermò, a sinistra della strada, all’inizio di un ripido sentiero. “Come senza dubbio sai - disse a Libero - in questo punto, nel maggio del 1945, dieci fascisti furono fucilati dai comunisti. Per la precisione accadde il 16 maggio, come oggi, giorno del mio matrimonio. E noi due li rievocheremo, accendendo dieci lumini”. Infatti, Vittorio aprì il baule dell’auto ed estrasse dieci piccoli cerini. “E’ il terzo anno consecutivo che li accendo – spiegò Vittorio -  e  quest’anno,  grazie alle fissazioni di Monica, per la prima volta non sarò solo”.  Libero dimenticò la stanchezza e, con voce tremolante, segno di turbamento, disse all’amico: “Perdinci, non avrei mai immaginato che tu fossi un fascista”. Vittorio rispose subito, con una leggera stizza, “mi deludi, pensavo che tu fossi arguto, infatti, non ho accennato nulla delle mie intenzioni a Pompeo e Gigi, non avrebbero capito, ma tu Libero… dimmi, da che parte stavi, con gli indiani o con i cowboy?”. Libero d’impulso rispose: “uno come me cresciuto leggendo Tex Willer, ed ho avuto la fortuna di leggere, da ragazzo, persino i primi numeri, non può essere che dalla parte dei pellerossa, ma, spiegami, cosa c’entrano indiani e cowboy con i fascisti?”.  “Eccome se c’entrano – ribatté Vittorio – almeno con quella specie particolare di fascisti che furono i repubblichini: una tribù di perdenti che, come gli indiani d’America,  combatteva contro gli invasori Yankee ben sapendo di avere come unica certezza la sconfitta, vista la enorme disparità delle forze in campo. E con la disfatta ci sarebbe stata la colonizzazione. Di sicuro andò peggio agli indiani, ma, non lo puoi negare, anche noi siamo stati colonizzati, nel modo di pensare, nel vestire, perfino nell’alimentazione, anche se in questo campo specifico resistiamo ancora bene. Così come mi erano simpatici gli indiani d’America, devo confessarti di avere avuto da sempre, non dico una simpatia, ma di sicuro un forte interesse per i fascisti repubblichini. Non per il fascismo vincente ed osannato del Ventennio, ma per i disperati che difendevano un’epoca destinata ad essere spazzata via per sempre. E le vicende della mia vita mi hanno condotto ad aumentare quest’attrazione. Perché anch’io sono uno sconfitto: lo sai che l’altro giorno ho incrociato il padre di Laura e questi mi ha detto, fissandomi con odio,  < ti sposi bastardo, mentre mia figlia l’hai mandata sottoterra, che tu sia maledetto nei secoli dei secoli >. Incredibile, ha usato questa formula da preghiera per condannarmi eternamente. Come puoi benissimo capire, pure io sono un dannato che non avrà mai perdono, per questo motivo mi sento simile ai dieci fascisti ammazzati qui”.
Libero rimase pensieroso per un po’, con il mento appoggiato sul pollice della mano sinistra e il naso sull’indice, poi disse: “con i miei trascorsi comunisti puoi ben capire, caro Vittorio, che i fascisti non mi sono graditi. Però le tue sincere motivazioni mi piacciono e posso partecipare alla tua commemorazione, considerato che ricordiamo degli sconfitti e non celebriamo un’ideologia che non ci appartiene”. “Bene, disse Vittorio, ti chiedo un ultimo favore, li ricorderemo nello stesso modo usato dai loro camerati, io dirò i nomi dei dieci e tu risponderai ogni volta con uno stentoreo: Presente!”. Libero borbottò un po’, maledicendo l’amico e le sue strane fissazioni, ma ubbidì. Vittorio lesse i seguenti nomi, date di nascita ed incarico :
·         Forni Antonio di Giacomo, Tenente della Divisione San Marco 3 Rgt. Art. nato a Maslianico il 21/09/1904,
·         Gatti Francesco di Pietro nato a Samolaco (SO) il 22/07/1922
·         Mauri Vittorio di Federico, Milite della Guardia Nazionale Repubblicana, nato a Cesano Maderno (MI) il 27/06/1894
·         Melis Mario di Giovanni, nato a Terralba (CA), di anni 42, residente  a Maslianico
·         Nessi Elisabetta di Giovanni in Cassina, civile, domestica, nata a Piazza Santo Stefano il 01/11/1901, residente a Maslianico
·         Penati Luigi, Milite della Guardia Nazionale Repubblicana,nato a Cantù, di anni 21, ivi residente
·         Nello Mario     
Fra un nome e l’altro Vittorio rimase in silenzio per un istante per dar modo a Libero di gridare il suo Presente! Poi disse “di tre fucilati non si sa il nome, per tre volte dirò Caduto Ignoto e tu mi risponderai Presente” e così fecero. Libero eseguì perfettamente: solo dopo il nome della donna commentò con un “poveretta, chissà quale colpa avrà commesso, sempre che di colpa si debba parlare”. Alla fine dell’elenco Libero chiese all’amico “dove cavolo hai trovato i nomi dei fucilati?”. “Semplice – rispose Vittorio – in Internet si trova tutto, basta saper cercare. Ed è un bel paradosso che un sistema creato dai militari americani per scopi, almeno all’inizio, difensivi sia pieno di siti esplicitamente antiamericani”.
I due amici attesero nell’auto che i lumini si spegnessero. Nel lettore CD dell’auto Vittorio aveva inserito un disco con canzoni di gruppi e cantanti neofascisti. Nomi e canzoni che Libero non aveva mai sentito, di cui non sospettava neppure l’esistenza. Fu colpito, in particolare da due canzoni: nella prima, di Massimo Morsello (è il De Gregori nero, gli spiegò Vittorio, spiegazione inutile perché Libero non conosceva né l’uno né l’altro) c’erano frasi come Entrammo nella vita dalla porta sbagliata in un tempo vigliacco, con la faccia sudata, e poi Pregammo la vita di non farci morire, se non c'era un tramonto da poter ricordare,per finire con un di un ragazzo a vent'anni che moriva da vecchio frasi, pensò Libero, che potevano benissimo essere dedicate ai morti del Ponte della Passera. L’altra canzone era di un complesso dal nome strano, 270 bis (è un articolo del codice penale, spiegò Vittorio, ma Libero non capì quale fosse la relazione con i cantanti) e, già dal titolo, Claretta e Ben, preannunciava il testo, un completo martirologio dei camerati morti, da Piazzale Loreto fino ai più recenti degli anni settanta, come le stragi di Primavalle e di Acca Larentia. Di quest’ultima canzone Libero imparò subito l’orecchiabile ritornello che diceva: Io, ho il cuore nero e tanta gente mi vorrebbe al cimitero, ma, io ho il cuore nero e me ne frego e sputo in faccia al mondo intero.“Sì - disse Libero ad alta voce - questa frase è la sintesi della vita dei dieci ammazzati qui. E sarebbe giusto chiudere con questa canzone la nostra celebrazione. Ma non siamo fascisti. E i morti si ricordano, tutti, in un solo modo. Considerato il periodo in cui sono caduti, reciterò la preghiera in latino: Réquiem ætérnam dona eis, Dómine, et lux perpetua lùceat eis. Requiéscant in pace. Amen. Ed ora andiamo, Vittorio, sta albeggiando, non vorrai correre il rischio di rompere la tradizione, è la sposa che si fa desiderare ed arriva in ritardo.”
  
A Giampaolo Pansa e Luca Telese, giornalisti della
sponda sinistra del mondo, che, con i loro scritti,
non permettono l’oblio degli sconfitti dell’altra riva.
13/08/2008

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