sabato 3 dicembre 2011


STORIE DI CONFINE - 1 –

 Anno terribile il 1944 anche nei nostri paesi seppur non direttamente interessati da eventi bellici, la guerra vera e propria era ancora lontana, sulla Linea Gotica. Certo, poteva capitare che qualche aereo alleato di ritorno da Milano scaricasse le bombe residue come accadde al Ronchetto di Ronago o addirittura in Svizzera, ma non era questo il vero problema per la gente.
Era la fame il vero assillo: noi, cresciuti in una società opulenta, con il frigorifero pronto ad esaudire ogni piccolo stimolo, non possiamo comprendere che cosa vuol dire avere fame, lo stomaco che ti morde e ti attanaglia. Guardate le foto di quel periodo: uomini e donne di una magrezza impressionante, volti scavati e occhi persi nelle orbite.
La fame però aguzzava l’ingegno e nelle nostre terre di confine si era trovato un sistema per poter mettere qualcosa sotto i denti. La soluzione, semplice e geniale, era questa: si scendeva fino a Novara o ancor più giù a Vigevano e si comprava il riso, non pensiate che fosse roba di poco conto, non era una scampagnata, viaggi in treno avventurosi, sempre possibili i bombardamenti od i rastrellamenti dei Tedeschi. Una volta comprato il riso si tornava nella nostra provincia e, qui c’era l’intuizione non priva di estro, si rivendeva una parte del riso agli Svizzeri (paese neutrale ma circondato completamente dalla guerra, pieno come un uovo di rifugiati e dove il cibo scarseggiava forse più che in Italia) quindi, con il ricavato della vendita, si poteva ritornare a comprarne dell’altro concludendo così il circolo virtuoso.
Certo, portare il riso in Svizzera non era proprio una passeggiata, le frontiere erano chiuse e presidiate, bisognava passare attraverso i sentieri dei boschi, sentieri percorsi anche da chi cercava rifugio in Svizzera, evitare i Tedeschi ed i repubblichini con il rischio, se si fosse stati presi, di perdere di sicuro il riso e, se fosse andata proprio male, di finire deportati a lavorare in Germania.
In uno di quei giorni del 1944 Vittore Fontana aveva lasciato la sua casa di Lampona, frazione di Ronago, ed aveva preso il sentiero che, dopo il Dussel, saliva la collina per poi continuare nella stradina per Somazzo, sentiero che avrebbe abbandonato nei pressi della Pauzella dove sarebbe entrato in Svizzera con il suo bel sacco di riso.
Aveva trentanove anni ma sapeva cosa fosse la sofferenza: la moglie era morta due anni prima rapita nel fiore degli anni da uno dei tanti mali del secolo ed era rimasto vedovo e con una figlia. Era da poco tornato da Torino, dove faceva il muratore, perché era troppo rischioso vivere in una città sottoposta a continui bombardamenti. Il contrabbando di riso per lui era semplicemente il modo per poter sopravvivere: in attesa che la guerra finisse bisognava pure procurarsi il cibo necessario ed i soldi per acquistarlo. Intendiamoci, non era mosso da uno scopo di lucro, non era un’attività fatta per arricchirsi ma imposta dalle durissime condizioni di vita di quel periodo.
Il cammino di avvicinamento al confine avvenne con la massima discrezione, favorito anche dalla perfetta conoscenza dei luoghi e degli spostamenti dei Tedeschi che, fra l’altro, erano tutti anziani perché quelli giovani erano al fronte, non certo in una zona di retrovia.
Giunto il momento di varcare la rete confinaria, l’attenzione del Fontana divenne massima perché qui ogni errore sarebbe stato pagato duramente: fiutata l’aria e non vedendo nessun pericolo, con un balzo rapidissimo si trovò in territorio elvetico; fece un respiro di sollievo, convinto che anche stavolta fosse andata bene, sarebbe bastato scendere a Novazzano e vendere il riso al miglior offerente, quando un grido gutturale lo gelò improvvisamente e lo bloccò. Pensò subito ai Tedeschi ma solo per un attimo, perché quella voce non proveniva dall’Italia dietro le sue spalle incurvate sotto il peso del riso ma davanti a lui: era la guardia svizzera. Ebbe solo il tempo di pensare "che sfortuna, non è un Ticinese con cui ci si può intendere subito parlando in dialetto, con questo qui dovrò spiegarmi a gesti", che lo Svizzero sparò.
Si disse dopo in paese che occasionalmente l’esercito Svizzero affiancava nella vigilanza le guardie di confine ticinesi e quindi poteva capitare che la sorveglianza fosse effettuata da Svizzeri di lingua tedesca che non conoscevano l’italiano: probabilmente voleva essere uno sparo di avvertimento ma la tragica realtà fu che Vittore Fontana era già morto prima di cadere coperto dal riso tinto dal suo sangue.
Anno orribile il 1944! Come in un quadro di Bruegel la Morte girava con la sua falce sempre lucida e raccoglieva cadaveri in ogni luogo ed in ogni modo anche il più impensato. Succedeva pure questo nel macabro 1944, morire per mano di chi doveva essere neutrale, di chi avrebbe dovuto essere neutrale.


Solo a guerra finita le spoglie mortali di Vittore Fontana
poterono rientrare in Italia e raggiungere il cimitero di
Ronago, dove ora riposano.

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