martedì 6 dicembre 2011

PERSONAGGI DI UN ALTRO SECOLO - 3 -
 
Non potete rendervi conto di cosa sia un macello industriale. Già l’aggettivo industriale indica un alto numero di animali macellati, una catena continua che parte dai recinti di sosta, prosegue in un percorso obbligatorio che porta ad una gabbia metallica dove il bovino viene stordito e poi dissanguato infine appeso ad un gancio e trascinato via, via lungo un binario che lo conduce, dopo varie operazioni come la spellatura e l’eviscerazione, alle celle frigorifere. Questo percorso infernale è segnato da una striscia rossa più o meno debordante ed invasiva: naturale, direte voi, cosa volete che ci sia in un macello se non il colore del sangue? Certo, ma quello che ancor oggi mi stupisce dopo tanti anni di lavoro nei mattatoi è la variazione che può assumere il colore rosso del sangue. Quando vengono recisi i vasi del collo ha un colore intenso, vinoso e rutilante. Nelle vasche di raccolta, permane sangue coagulato che si raccoglie in strati violacei, quasi neri. Poi, lungo la catena, sgocciola dalle carcasse con un colore amaranto e sul pavimento si mescola con l’acqua, sempre presente ed abbondante nei macelli, dando luogo a striature multiformi, sempre diverse e con tonalità più chiare con l’aumentare del gettito dell’acqua; per non parlare degli schizzi sui vestiti, candidi all’inizio della macellazione e poi sempre più macchiati di sangue il quale essiccandosi lascia un alone rosso marrone.
Correvano i primi anni del novanta in quel macello di Villa Guardia che ora non c’è più, bei tempi, in cui solo noi addetti ai lavori sapevamo che lassù, in Inghilterra, le vacche erano colpite da uno strano morbo che le faceva impazzire. Alle sei e trenta di quel lunedì, con qualche minuto di ritardo sull’orario prestabilito, davo il via alla macellazione. Era ancora buio in quella mattina di fine inverno e fra le luci al neon del macello girava la solita fauna: cento vitelli bresciani, attori muti della rappresentazione, macellatori vestiti di bianco e dai coltelli affilati ed infine io, il veterinario, che doveva controllare che tutto avvenisse come legge comanda. All’inizio della macellazione solo la prima parte della catena è animata e solo i macellai addetti allo stordimento e alla iugulazione (parola che potrebbe avere un suono affascinante se non indicasse l’incisione dei grossi vasi del collo e, di conseguenza, la morte dell’animale) lavorano fra i cigolii metallici delle porte della gabbia e dei ganci. Gli altri macellatori addetti alle operazioni successive aspettavano chi affilando i coltelli, chi verificando il funzionamento della propria pedana.. Fra questi c’era il Gianca, un quarantenne di altezza media e con un ciuffo sbarazzino che la cuffia ancora bianca non riusciva a trattenere. Dovete sapere che molti macellatori sono di altezza al di sotto della media e quello che hanno perso in altezza hanno guadagnato in muscolatura e si sprecano i soprannomi come macelarin e mezanel; d’altra parte i macellai di statura superiore alla media sono chiamati in quello strano mondo con vezzeggiativi cosicché personaggi corpulenti per contrappasso si portano addosso nomignoli come Carluccio o Peppino. Il Gianca non rientrava nelle due categorie citate ed era solamente e per tutti il Gianca e quella mattina affilava i coltelli con aria pensierosa e uno sguardo fisso nel vuoto. Mi accorsi che, pur non avendo ancora partecipato alla macellazione, aveva quattro strisce rosse su una guancia; avvicinandomi notai che erano chiaramente il segno di graffi. “Che ti è successo Gianca, sei andato a letto con un gatto?” gli chiesi. Lui mi rispose subito quasi avesse un peso sullo stomaco e non aspettasse altro che la mia domanda per liberarsene immediatamente: “Eh dutur, sapesse cosa mi è capitato” e cominciò un racconto a puntate, la catena non permette interruzioni o perdite di tempo, che si protrasse per gran parte della mattinata. La sua storia cominciava circa dieci anni prima di quella mattina quando il Gianca ebbe un piccolo incidente ad Olgiate: nulla di grave per fortuna, una mancata precedenza aveva provocato una piccola ammaccatura perché le due auto non andavano a velocità sostenuta e per la prontezza di riflessi del Gianca che si era subito accorto della errata manovra dell’altro guidatore e, suonando il clacson, aveva limitato i danni. Incidenti che capitano tutti i giorni tranne che dalla macchina investitrice scese un uomo corpulento che, invece di riconoscere la propria colpa, cominciò ad inveire con vigore. Il Gianca non aveva nessuna intenzione di litigare, per di più quella sera si trovava in dolce compagnia, anzi era persino sposata e, capirete, non aveva alcuna intenzione di fare pubblicità alla sua tresca perciò rispose con pacatezza all’irruenza dell’investitore. Questi probabilmente scambiò l’atteggiamento del macellaio per arrendevolezza o forse qualche parola conciliante gli parve invece come una presa in giro, fatto sta che cominciò a muovere le mani. Il Gianca evitò i primi fendenti, non voleva assolutamente che la faccenda degenerasse, però qualche pugno lo prese e alla fine perse la pazienza. Erano già quindici anni che esercitava la professione di macellaio e grazie al suo lavoro aveva due braccia muscolose ed agili, non ci mise molto ad avere il sopravvento sull’avversario e con un paio di colpi ben assestati lo sbatté violentemente contro la portiera dell’auto provocando molti più danni ora dell’incidente. Si avvicinò al rivale intontito dai colpi e, prendendolo ruvidamente per la camicia, lo sollevò all’altezza del finestrino con l’intenzione di dargli una bella mano di bianco quando, all’improvviso, qualcosa lampeggiò attraverso il finestrino. Il Gianca strizzò gli occhi e guardò meglio all’interno dell’auto: da non credere, quello che a lui sembravano dei luccichii non erano altro che due occhi sgranati e terrorizzati di una bambina. Incredibile, quel rimbambito che aveva fra le mani come un sacco di patate non solo provocava incidenti, non solo voleva risolvere la questione con le botte e, pur non essendo riuscito a cambiargli i connotati gli aveva ormai rovinato una serata splendida con una tipa che stava inseguendo da un po’, quel rimbambito dicevo, si portava appresso anche una bambina, presumibilmente la figlia. Quegli occhi impauriti gli fecero passare subito la voglia di picchiare: mollò la presa sull’uomo, salì in macchina e con una veloce manovra se ne andò. Però quegli occhi impauriti gli rimasero ben fissi nella mente per molto tempo, nonostante la serata fosse finita in modo brillante, la donna di quella sera non fu turbata dall’accaduto, anzi, gli disse “Non solo hai un bel ciuffo, sei anche tremendamente macho”.
Passarono gli anni e il sabato sera precedente la seduta di macellazione il Gianca si trovava nella nota discoteca di Bizzarone quando, non si sa come, si trovò a ballare con una graziosa giovane dall’apparente età di vent’anni. Come avrete ormai capito il Gianca di donne se ne intendeva ed egli si rese subito conto dell’interesse che aveva creato nella ragazza; fatto sta che, compreso che quella voleva concludere degnamente la serata, la invitò nella sua dimora. Lei accettò subito e, dopo poco minuti ciascuno sulla propria auto perché la donna aveva voluto così, raggiunsero l’abitazione del macellaio. Il Gianca si comportò da perfetto padrone di casa, le offrì da bere e, mascherando benissimo le sue intenzioni ed il suo orgoglio (“Dutur, a quarant’anni suonati riesco ancora a cuccare una ventenne!”), instaurò una piacevole conversazione. Dopodiché, quando ormai aveva ritenuto essere giunto il momento opportuno, pose la mano delicatamente intorno al collo della ragazza e il suo sguardo, beh il suo sguardo spiegava benissimo senza parole cosa avesse intenzione di fare. La giovane donna per un istante rimase come di ghiaccio, impallidì, pose sul tavolo il bicchiere e, zac, con mossa fulminea della mano destra graffiò la guancia del Gianca. Questi, più sbalordito che impaurito, stava per aprire bocca quando gli occhi della ragazza gli bloccarono immediatamente la salivazione: in un attimo si accorse che quegli occhi erano proprio quelli della bambina dell’incidente di dieci anni prima. Non si era ancora ripreso dallo stupore per la sconvolgente scoperta che la donna, dopo aver rovesciato il tavolo e spaccato il bicchiere, si era già allontanata velocemente.
Ed ora il Gianca era qui che mi chiedeva “Perché dutur? Perché tutta quella messinscena, non poteva dirmi tutto subito, anzi non poteva evitarmi del tutto?” Mi faceva queste domande nella convinzione, diffusa nel mondo dei macellai, che, avendo studiato, potessi trovare una soluzione a tutto. Figurarsi, lo studio non serve a dar risposte di questo tipo, meno che meno ad entrare nella testa di una giovane che, agendo in quel modo teatrale, probabilmente voleva vendicare il proprio padre e c’era riuscita, visto come aveva tramortito il povero Gianca. No, non avevo parole che potessero sollevarlo, solo dargli il conforto di sentire il suo sfogo.
Intanto la macellazione era finita, il macello aveva ripreso il suo aspetto lindo, bianco quasi come una camera operatoria. Si sentiva laggiù il gocciolio di un rubinetto. Di rosso adesso c’erano solo i segni dei quattro graffi sulla guancia del Gianca.
 
 
Ronago 07/06/2001

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