venerdì 9 dicembre 2011

PERSONAGGI DI UN ALTRO SECOLO - 4 -

  Non frequento più i bar. Il fatto è che non sopporto il fumo, dopo un po’ mi fa male la testa, gli occhi bruciano e mi infastidisce che gli abiti rimangano impregnati dell’odore delle sigarette. Peccato, perché nelle osterie si trovavano personaggi notevoli che ti stimolavano il cervello, lo inducevano a muovere i suoi delicati ingranaggi sempre sottoposti al pericolo di arrugginire, a farti pensare. Il Piffaretti per esempio: il nome non ha importanza perché per tutti era "Ul Pifarett". Era anche un mio lontano parente e quando frequentavo i bar di Ronago, negli anni settanta dello scorso secolo, era ormai un pensionato che troneggiava seduto al solito tavolo con le mani appoggiate al pomello del bastone. Il viso attraversato da rughe, due baffi che scendevano a coprire gli angoli della bocca, gli occhi scuri e profondi, con le pupille dilatate che ti scrutavano per studiarti, meglio per analizzare ogni tuo singolo pensiero e poi la voce, potente e nitida, che ti aggrediva con sarcasmo. Giocavamo a scopa d’assi, lui quasi sempre in coppia con Ciccillo, un siciliano silenzioso nel senso che non diceva mai una parola, si esprimeva con la mimica facciale e gli occhi in continuo movimento. Il Piffaretti era un ottimo giocatore, qualità data da una mente matematica e dal continuo esercizio, quando rimanevi con tre carte beffardamente ti diceva cosa avevi in mano. Alla fine della partita, regolarmente bastonato e dopo aver concordato con il mio socio il pagamento delle bevande, cominciava il divertimento: eh sì, perché Piffaretti era un grande affabulatore, ti incantava con le parole e le sue idee originali; per esempio "perché non vanno d’accordo settentrionali e meridionali? Semplice, devi sapere Andrea che se un concetto si può esprimere con cinque parole, un milanese ne impiegherà proprio cinque, un comasco quattro ed un bergamasco tre mentre più si scende a Sud più le parole aumentano, un napoletano od un calabrese possono usarne addirittura 20 o 25, che spreco! Ecco, la mancanza assoluta della sintesi nei nostri terroni è la causa di tutte le incomprensioni fra noi e loro". Il bello è che a sentire queste cose Ciccillo si agitava tutto e muoveva la testa in segno di approvazione, lui che era l’esempio vivente di come i movimenti del viso potevano sostituire la parola, per nulla risentito dal termine terrone, ben sapendo che lo si usava in modo affettuoso, non per offendere. Il Piffaretti aveva lavorato per molti anni in Svizzera e, come tutti quelli della sua età che erano emigrati per lavoro nella vicina Confederazione, aveva dei sentimenti di odio e amore verso i rosso - crociati. Infatti, c’era chi aveva assimilato talmente la mentalità svizzera da integrarsi perfettamente in quel mondo, sposarsi, ragionare come uno svizzero e magari essere ancora più spietati nel cogliere tutti i nostri difetti e c’era chi, come il Piffaretti appunto, pur conscio dell’ordine e della forza dello Stato Elvetico non poteva dimenticare le proprie origini e aveva sviluppato un senso di diffidenza se non di sospetto per tutto quanto avesse a che fare con la Svizzera; inoltre non dimenticava che alla fine della guerra un suo zio, che aveva un negozietto a Chiasso, si era trovato le vetrine infrante a sassate e, si pensava forse a ragione, rotte non tanto in quanto il negoziante fosse fascista ma perché Italiano. Così nessuno si stupiva del fatto che un gran parlatore come il Piffaretti non dicesse mai nulla della Svizzera anzi, quando si parlava di qualche svizzero, troncasse subito il discorso dicendo "passaporto rosso" alludendo al colore del passaporto elvetico ma facendo capire che, proprio per quello e trattandosi di un confederato, era inutile parlarne. Invece dove il Piffaretti rifulgeva era quando si riferiva al suo paesello; l’amore per Ronago era straripante, esplosivo, tale che vedeva difetti incredibili in tutti gli altri: per esempio Uggiate era un paese, chissà perché, di pettegoli, e Olgiate un paese di matti, con un grado di pazzia tale che solo un santo come San Gerardo poteva intercedere e salvarli. Giustificabile, quindi, la devozione degli olgiatesi per il Santo e comprensibile, anzi obbligatorio, il pellegrinaggio verso Monza ogni 25 aprile per onorarne le spoglie. I Laghèe e i Valtellinesi erano naturalmente buoni solo per il contrabbando, gli abitanti di Como dei cittadini con la puzza sotto il naso e Milano, beh fin dai tempi di Renzo Tramaglino andar a Milano è sempre stato un casino. Il resto del mondo era, immancabilmente ed irreversibilmente, zona depressa; con un mantovano finì quasi a botte quando sentì dire che la sua bella città padana era zona depressa. Il fatto è che Piffaretti con questa espressione non intendeva assolutamente dare un giudizio economico, la sua era una considerazione prettamente etimologica, la zona depressa era tale perché gli procurava depressione, essendo Ronago l’unico luogo in cui si potesse vivere felicemente. Talmente immenso l’amore per il suo luogo natale che Piffaretti arrivava al limite di considerare Ronago l’Unico Vero Paese Italiano: infatti, affermava che, essendo Ronago per tre quarti circondato dalla Svizzera e cominciando il Sud, meglio la Terronia, a Trevano, Ronago era per forza l’Unico Paese Italiano. Don Ciccillo annuiva gravemente con la testa, non ho mai capito perché convinto dell’ineluttabilità del discorso del Piffaretti o perché così si allargavano enormemente i confini del Sud. Ecco che cosa ho imparato dal Piffaretti: l’amore per il proprio campanile; certo lui estremizzava tutto tale era la potenza della sua forza polemica, ma il dato di fondo della sua limitata concezione del mondo, lo struggente legame con il luogo natale, nobilitava tutti i suoi pazzi ragionamenti. Il campanilismo in lui assumeva un che di nobile, e poi, cosa c’è più bello di un campanile, svettante verso il cielo, come simbolo della ricerca di Dio? Perché, si chiedeva Piffaretti e me lo chiedo anch’io, ora fanno le chiese senza il campanile? Poi non è che Piffaretti fosse tenero anche con i ronaghesi: quell’astio mai sopito e sotterraneo fra gli abitanti della parte alta e quelli della Valmulini lui l’avrebbe risolta drasticamente. Affermava che "la sfortuna di Ronago risaliva alla notte dei tempi quando i ghiacciai si sciolsero e crearono il Lago di Como: il fatto fu che si ritirarono troppo e si formò la Val Mulini, pensa Andrea se si fossero sciolti con minor vigore e al posto della valle ci fosse stato il lago! Che bello sarebbe andare a Drezzo in barca". Don Ciccillo approvava con la testa e gli occhi guardavano fissi davanti forse immaginando la barca che solcava l’acqua. Nel suo piccolo Piffaretti, senza saperlo, tramandava l’eterno campanilismo che contraddistingue l’italica gente: compatti verso gli altri paesi o città e in eterna lotta fra fazioni nel proprio territorio, quello che è magnificamente rappresentato dal Palio di Siena, città sempre in lotta con gli altri borghi toscani ma poi suddivisa all’interno dalla acerrima divisione in contrade. Adesso il Piffaretti non c’è più a sorprendermi con le sue idee e non c’è più Ciccillo, morto al bar, seduto al suo solito posto: prima di morire disse "aiu siti" (ho sete) e molti degli astanti non fecero in tempo a meravigliarsi perché non avevano mai sentito la sua voce che Don Ciccillo stramazzò, colpito da un infarto. Con Piffaretti è scomparso definitivamente da Ronago questo cognome così tipicamente ronaghese. Se ne è andato prima di conoscere che un Piffaretti (di lingua francese!) giocava addirittura nella nazionale di calcio elvetica e senza sapere che io ho parlato con un Piffaretti di Lomazzo il quale mi disse che la sua figlia, con lavoro in Svizzera, desta stupore nei suoi colleghi elvetici perché, stranamente per loro, con quel cognome è italiana e non svizzera. Di sicuro il Piffaretti non avrebbe approvato; però i cognomi seguono gli spostamenti di chi li porta e non c’è da stupirsi se poi vanno a finire dove non dovrebbero.
18 mar, '03, 9:41 m.

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