PERSONAGGI
DI UN ALTRO SECOLO – 8 –
Poca
gente al bar in quella fredda sera di un sabato di fine gennaio degli
anni novanta, due giocatori al biliardo, Libero che leggeva il
giornale nel suo modo meticoloso, nel senso che divorava il
quotidiano dalla prima all’ultima pagina, quattro pensionati che
giocavano a scopa nel tavolo appartato giù in fondo. Una calma
assoluta, intervallata dal rumore provocato dalle bocce che
s’incontravano, si scontravano e si separavano disegnando linee
geometriche sul tavolo verde. Calma interrotta dall’ingresso
fragoroso del Genesio e del Moscerino, il primo che gridava
insulti triviali e il secondo che incassava, con uno sguardo a metà
fra la rabbia e la giustificazione.
I
due tornavano da una rapina. Il Genesio indicò il tavolo vicino a
quello di Libero mentre l’altro faceva segno di no con gli occhi
perché non gli garbava sedersi nel posto attiguo a quel fanatico
religioso pieno di discorsi su Dio e sull’Aldilà. Invece
Genesio voleva accomodarsi lì proprio per quello, poteva sempre
servire un alibi, un qualcuno che confermasse la nostra presenza qui,
al bar, dalle diciotto e quarantacinque e non dalle diciannove come
nella realtà e Libero era proprio indicato per questo, perché
essendo estremamente energico nelle difese delle proprie convinzioni,
bastava fargli credere che loro fossero entrati un quarto d’ora
prima e lui lo avrebbe testimoniato davanti a qualsiasi
tribunale. Genesio non si era ancora seduto che già aveva gridato
“Libero non mangiare tutto il giornale, lasciane un po’ anche a
noi” e si prese subito come risposta “a voi? Ma se siete degli
analfabeti di ritorno, al massimo potete leggere la “Gazzetta dello
sport” e solo i titoli. Ma guardatevi, incolti, guardatevi allo
specchio che bello spettacolo siete, non capite che la vera
differenza fra le persone non la fa il titolo di studio o il tipo di
lavoro, la differenza è fra chi legge e gli illetterati perché
chi legge sa, mentre voi vivete nell’ignoranza”. In queste poche
parole si poteva già capire il carattere di Libero, un tipo
sarcastico che s’infiammava subito, la polemica era il suo pane
quotidiano, la lettura il suo passatempo preferito. Le letture
avevano scandito la sua vita e, naturalmente, anche il modo di
pensare tanto che si poteva parlare di un periodo giovanile
contraddistinto da libri e pratiche marxiste e un periodo maturo
religioso, se non addirittura mistico, nel quale non lasciava passare
giorno senza leggere qualche pagina della Bibbia. D’altra parte non
aveva tutti i torti nel definire così i due individui perché
Genesio era l’uomo dai mille lavori aventi come comune denominatore
l’illegalità e Moscerino era un energumeno tutto grasso e muscoli,
con un cervello inversamente proporzionale alla massa corporea,
l’unico organo così piccolo da giustificare il soprannome. Non è
che i due si frequentassero molto, troppo diversi di carattere per
andare d’accordo, ma la necessità li unì quell’inverno perché
il Moscerino, giocatore incallito di tutte le riffe e lotterie, aveva
urgentemente bisogno di grana fresca per pagare i debiti di gioco.
Avendo esaurito ogni possibilità legale di guadagno, si era deciso a
chiedere un aiuto al Genesio, ex contrabbandiere dalle mille risorse.
Certo, ci volle tempo a convincerlo, a scalfire il muro di diffidenza
alzato da Genesio che era un tipo guardingo come tutti i laghèe: il
Moscerino non era del giro, non brillava per intelligenza, perché
”lavorare” con lui? Tutti i dubbi sparirono quando il Moscerino
spiegò, nel suo italiano incerto e dialettale il suo piano: svuotare
la cassaforte di Domenico Collima detto Caino, l’usuraio. Era
questi un pensionato costretto a letto da un ictus che gli aveva
tolto l’uso della parte destra del corpo e della parola. Il
Moscerino, nella sua quotidiana ricerca di soldi da sperperare, aveva
frequentemente contatti con Caino, nel senso che questi prestava
soldi con tassi d’interesse da strozzino o con il contraccambio di
lavori malpagati come nel caso dell’ultimo affare di Caino,
la vendita di un quadro ad un acquirente del Sud, nel quale il
Moscerino aveva fatto da guardaspalle. In questo modo il giocatore
d’azzardo ebbe la possibilità di frequentare la casa di Domenico e
di intravedere, senza essere visto, una cassaforte dietro un quadro
nel soggiorno, un giorno che Giannina, moglie di Caino, gli disse di
entrare pure, senza circospezione, poiché il marito lo aspettava nel
soggiorno. L’usuraio, con le spalle volte all’ingresso del locale
perché in procinto di chiudere la cassaforte, non si avvide della
scoperta fatta dal Moscerino, il quale fu abile a non farsi
scoprire aspettando quell’attimo ad entrare nel soggiorno. Il
tipo di cassaforte, un forziere ad incastro con apertura permessa da
una combinazione con tre giri a sinistra, due a destra ed uno ancora
a sinistra, fu l’elemento che convinse Genesio a partecipare alla
rapina; si trattava di un aggeggio relativamente facile da aprire,
anche per lui che si considerava un modesto scassinatore, non
un artista del ramo.
Intanto,
mentre noi divaghiamo, il Genesio stava rispondendo a Libero “uh
come sei polemico stasera, ti ho solo chiesto di lasciarmi
leggere il giornale e tu mi ribatti insultando. Va bene, hai ragione,
siamo degli ignoranti, ma è proprio il caso di sbattercelo sul muso
così, senza neanche un po’ di tatto?” Libero, come senz’altro
avrete già compreso, era un fiammifero pronto ad incendiare la
foresta se attaccato ma nel giro di pochi istanti poteva diventare un
mansueto dispensatore di saggezze se l’interlocutore lo smontava
con un atteggiamento gentile o comprensivo. Non stupitevi quindi se
rispose “no ragazzi, non volevo offendervi e se l’ho fatto mi
scuso con tutto il cuore. Io volevo solamente spiegarvi l’importanza
della lettura perché solo la conoscenza ci può aiutare a rispondere
alle fondamentali domande che, prima o poi, ognuno si pone: chi
siamo? Perché esistiamo? Dove andiamo?” Libero non lo disse
ma la domanda a cui non sapeva rispondere in quel momento era “con
chi andare?”, perché ormai lui conosceva benissimo la sua strada,
il Cristianesimo, ma quel cammino lo doveva percorrere da solo od in
compagnia? Era un quesito che gli rimbombava in testa dall’estate
precedente quando, finalmente, era riuscito ad esaudire un suo
desiderio che risaliva ai tempi della conversione, il pellegrinaggio
verso Santiago di Compostela percorso a piedi e sugli stessi sentieri
dei pellegrini del Medio Evo. Viaggio che aveva pomposamente chiamato
La Ricerca e che per un tratto non breve fece con un gruppo di
spagnoli dell’Aragona, guidato dal loro parroco. In quei giorni,
vedendo il pastore seguito devotamente dal suo gregge, gli
frullò in testa l’idea che la sua concezione del
Cristianesimo fosse un’elaborazione che non permetteva la
condivisione con altri della propria fede e, quindi, fosse un atto di
arroganza, di egoismo. Ed ancora adesso, a distanza di mesi si
chiedeva “ma io ho bisogno di una Chiesa per esprimere
compiutamente la mia Fede, oppure posso essere un credente
solitario?”.
Naturalmente
Genesio e il Moscerino non avevano nessuna voglia di rispondere alle
domande di Libero, le loro menti erano ancora concentrate sull’azione
criminosa appena terminata e la cui elaborazione non aveva, in
verità, spremuto le loro meningi. Troppo metodica la Giannina, con
una vita talmente regolare da sembrare scandita da un metronomo,
troppo favorevole per i loro piani la menomazione di Caino. Decisero
di eseguire il colpo il sabato sera alle diciotto perché Giannina
era un’assidua frequentatrice della Messa Prefestiva e poi, dopo la
funzione, si concedeva sempre un tè con le amiche presso il bar
situato di fronte alla Chiesa. Scelta quasi dovuta perché era
l’unico momento in cui la donna lasciava il marito solo, per
esempio quando faceva la spesa c’era sempre una comare disposta a
sostituirla nella sorveglianza dell’infermo. Tre quarti d’ora di
funzione e mezz’ora di bar, Genesio era sicuro di avere tutto il
tempo di aprire la cassaforte. Fu così che alle sei in punto di quel
sabato i due loschi figuri scassinarono facilmente la porta
d’ingresso dell’abitazione di Caino e velocemente s’intrufolarono
nell’appartamento. I compiti erano ben definiti: Genesio si
concentrava sulla cassaforte, Moscerino controllava che tutto intorno
fosse tranquillo. La prima mezz’ora passò in un battibaleno e
Genesio non riuscì a realizzare progressi nella sua lotta con il
forziere. Alle diciotto e cinquanta minuti, quando ormai la speranza
di aprirla stava svanendo, Genesio avvicinò l’orecchio alla
cassaforte per ascoltare meglio i movimenti degli ingranaggi e questo
gesto gli permise involontariamente di vedere, sul retro del quadro
che serviva per coprire la cassaforte e che aveva appoggiato al
pavimento, una scritta. Guardò meglio e si accorse con giubilo che
si trattava di un numero di sei cifre: 865622. Ho fatto Bingo pensò
e subito manovrò la ruota numerata: tre giri a sinistra fino all’86,
due a destra fino al 56 e uno ancora a sinistra fino al 22. La
cassaforte non si aprì. Riprovò, questa volta invertendo i numeri,
22 a sinistra, 56 a destra e 86 a sinistra. Un clic metallico che a
Genesio parve melodioso annunciò l’apertura del mobile.
Stava riflettendo “questi deficienti meritano proprio di essere
derubati” quando si trovò una Giannina aggrappata alla sua schiena
e urlante “al ladro, al ladro”. Era successo un imprevisto.
Imprevedibile, se no che imprevisto sarebbe? L’inimmaginabile aveva
un nome, Giuditta, una pia donna con una corporatura possente ed
un’andatura da plantigrado. Una caritatevole signora sulla
sessantina con uno spiccato senso dell’amor del prossimo che la
teneva impegnata per gran parte della giornata. Si avvicinò alla
Giannina quando la Messa era terminata e prendendola a braccetto le
disse <oh Giannina cosa ho sentito stamattina dal macellaio, si
parlava del più e del meno e io ho detto quanto tu sia brava a
curare quel povero malato di tuo marito, di quanto tu sia
premurosa, ed è intervenuta la Santina con un “sì, proprio
premurosa: lo lascia sempre solo nel suo letto di dolore ed è sempre
in giro a chiacchierare”. Io ho ribattuto che non era assolutamente
vero, anzi, ti comporti come una vera infermiera oltre
che una moglie zelante nella cattiva sorte e lei ha replicato che
facevi finta di fare l’infermiera mentre un malato come il Domenico
aveva proprio bisogno di una professionista ma tu sei troppo taccagna
per pagarne una. Io comunque ti ho difesa, anche quando è
intervenuta la Ida a darle manforte, a gridare che la Santina aveva
ragione da vendere e che il tuo comportamento era ancora più
riprovevole visto la tua frequenza assidua in Chiesa>. Si
attendeva la Giuditta che la Giannina rispondesse a tono ed aveva
calcato la mano su quanto effettivamente detto dalla Ida: lei sapeva
che fra le due donne c’era una fortissima inimicizia e, se la
Giannina avrebbe potuto tralasciare quanto detto dalla Santina, una
nota malalingua invidiosa del mondo intero, probabilmente sarebbe
uscita con qualche cosa di malevolo sul conto della Ida. In questo
modo, sperava di continuare il suo giro virtuoso e caritatevole
perché lei era mossa semplicemente dall’amore per il prossimo e
suo preciso dovere quello di appianare le incomprensioni fra le
persone di sua conoscenza. Invece fu veramente sorpresa dalla
reazione della Giannina: contrariamente alle aspettative, non rispose
per le rime e farfugliò un saluto, lasciò la compagnia e ritornò
velocemente a casa. Non voleva stare a sentire quell’arpia, le sue
carognate falsamente a fin di bene e poi voleva gridare a suo marito
“vero che ti curo bene, vero che faccio tutto per te?”. Non poté
esaudire il proposito perché, appena entrata in casa, si accorse che
un problema più grave dei pettegolezzi di Giuditta le era caduto
addosso, e con coraggio cercò di risolverlo attaccando alle spalle
il malvivente. Genesio passò nell’arco di un secondo dalla gioia
al terrore. Fortunatamente aveva indossato il passamontagna, si
raggomitolò per proteggerlo con le mani dagli attacchi furiosi di
Giannina che istintivamente cercava di toglierlo poi, di colpo, si
alzò e si girò, riuscendo a liberarsi dalla morsa della Giannina
e a sbatterla lontano da sé quel tanto sufficiente da
permettergli di fuggire. Uscì dal salotto e quasi si scontrò
con il Moscerino che stava a sua volta uscendo dalla camera da letto
di Caino. Lo sciagurato, invece di agire da palo, si era intrufolato
nella stanza di Domenico per dileggiarlo con frasi del tipo
“oltre a non ridarti i soldi che ti dovevo ora ti prendo anche
quelli che hai in cassaforte, maledetto strozzino”. E via di corsa
verso il bar, lasciando una Giannina distrutta nel soggiorno, più
annichilita dalle parole di Giuditta che dalla colluttazione
con il rapinatore; d’altra parte si potrebbe notare che almeno
questa volta la Giuditta è riuscita a completare un’opera di bene
perché, involontariamente, con le sue parole e la conseguente
reazione di Giannina, aveva provocato il fallimento della
rapina.
Strana
atmosfera quella sera al bar, poca gente e tutta scontenta. Non era
contento Libero con i suoi pensieri sulla Fede e sulla Chiesa e che
riassumeva nell’ultima domanda: “posso credere senza
appartenere?”. Non si sentiva appagato il Moscerino sempre alla
ricerca di soldi e di occasioni di facili guadagni per soddisfare la
febbre del gioco. Soprattutto non era soddisfatto il Genesio. Mentre
Libero si poneva delle domande a cui nessuno voleva rispondere, lui
si chiedeva come avesse fatto a preparare un colpo con quel ritardato
di Moscerino, vero anello mancante fra la scimmia e l’uomo, e più
di ogni altra cosa un pensiero lo assillava: la supposizione, se non
la certezza, che sarà sempre una mezza cartuccia, non farà strada
nel mondo della malavita. Un vero rapinatore avrebbe preso la
Giannina, l’avrebbe sbattuta contro il muro e avrebbe svuotato la
cassaforte, non se la sarebbe data a gambe come lui, malavitoso di
mezza tacca.
26/07/2004
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