mercoledì 25 luglio 2012


PERSONAGGI DI UN ALTRO SECOLO – 8 –  

Poca gente al bar in quella fredda sera di un sabato di fine gennaio degli anni novanta, due giocatori al biliardo, Libero che leggeva il giornale nel suo modo meticoloso, nel senso che divorava il quotidiano dalla prima all’ultima pagina, quattro pensionati che giocavano a scopa nel tavolo appartato giù in fondo. Una calma assoluta, intervallata dal rumore provocato dalle bocce che s’incontravano, si scontravano e si separavano disegnando linee geometriche sul tavolo verde. Calma interrotta dall’ingresso fragoroso del Genesio e del Moscerino, il primo che gridava  insulti triviali e il secondo che incassava, con uno sguardo a metà fra la rabbia e la giustificazione.
I due tornavano da una rapina. Il Genesio indicò il tavolo vicino a quello di Libero mentre l’altro faceva segno di no con gli occhi perché non gli garbava sedersi nel posto attiguo a quel fanatico religioso pieno di discorsi su Dio e sull’Aldilà.  Invece Genesio voleva accomodarsi lì proprio per quello, poteva sempre servire un alibi, un qualcuno che confermasse la nostra presenza qui, al bar, dalle diciotto e quarantacinque e non dalle diciannove come nella realtà e Libero era proprio indicato per questo, perché essendo estremamente energico nelle difese delle proprie convinzioni, bastava fargli credere che loro fossero entrati un quarto d’ora  prima e lui lo avrebbe testimoniato davanti a qualsiasi tribunale. Genesio non si era ancora seduto che già aveva gridato “Libero non mangiare tutto il giornale, lasciane un po’ anche a noi” e si prese subito come risposta “a voi? Ma se siete degli analfabeti di ritorno, al massimo potete leggere la “Gazzetta dello sport” e solo i titoli. Ma guardatevi, incolti, guardatevi allo specchio che bello spettacolo siete, non capite che la vera differenza fra le persone non la fa il titolo di studio o il tipo di lavoro, la differenza è fra chi legge e gli illetterati  perché chi legge sa, mentre voi vivete nell’ignoranza”. In queste poche parole si poteva già capire il carattere di Libero, un tipo sarcastico che s’infiammava subito, la polemica era il suo pane quotidiano, la lettura il suo passatempo preferito. Le letture avevano scandito la sua vita e, naturalmente, anche il modo di pensare tanto che si poteva parlare di un periodo giovanile contraddistinto da libri e pratiche marxiste e un periodo maturo religioso, se non addirittura mistico, nel quale non lasciava passare giorno senza leggere qualche pagina della Bibbia. D’altra parte non aveva tutti i torti nel definire così i due individui perché Genesio era l’uomo dai mille lavori aventi come comune denominatore l’illegalità e Moscerino era un energumeno tutto grasso e muscoli, con un cervello inversamente proporzionale alla massa corporea, l’unico organo così piccolo da giustificare il soprannome. Non è che i due si frequentassero molto, troppo diversi di carattere per andare d’accordo, ma la necessità li unì quell’inverno perché il Moscerino, giocatore incallito di tutte le riffe e lotterie, aveva urgentemente bisogno di grana fresca per pagare i debiti di gioco. Avendo esaurito ogni possibilità legale di guadagno, si era deciso a chiedere un aiuto al Genesio, ex contrabbandiere dalle mille risorse. Certo, ci volle tempo a convincerlo, a scalfire il muro di diffidenza alzato da Genesio che era un tipo guardingo come tutti i laghèe: il Moscerino non era del giro, non brillava per intelligenza, perché ”lavorare” con lui? Tutti i dubbi sparirono quando il Moscerino spiegò, nel suo italiano incerto e dialettale il suo piano: svuotare la cassaforte di Domenico Collima detto Caino, l’usuraio. Era questi un pensionato costretto a letto da un ictus che gli aveva  tolto l’uso della parte destra del corpo e della parola. Il Moscerino, nella sua quotidiana ricerca di soldi da sperperare, aveva frequentemente contatti con Caino, nel senso che questi prestava soldi con tassi d’interesse da strozzino o con il contraccambio di  lavori malpagati come nel caso dell’ultimo affare di Caino, la vendita di un quadro ad un acquirente del Sud, nel quale il Moscerino aveva fatto da guardaspalle. In questo modo il giocatore d’azzardo ebbe la possibilità di frequentare la casa di Domenico e di intravedere, senza essere visto, una cassaforte dietro un quadro nel soggiorno, un giorno che Giannina, moglie di Caino, gli disse di entrare pure, senza circospezione, poiché il marito lo aspettava nel soggiorno. L’usuraio, con le spalle volte all’ingresso del locale perché in procinto di chiudere la cassaforte, non si avvide della scoperta fatta dal Moscerino, il quale fu abile  a non farsi scoprire aspettando quell’attimo  ad entrare nel soggiorno. Il tipo di cassaforte, un forziere ad incastro con apertura permessa da una combinazione con tre giri a sinistra, due a destra ed uno ancora a sinistra, fu l’elemento che convinse Genesio a partecipare alla rapina; si trattava di un aggeggio relativamente facile da aprire, anche per lui che  si considerava un modesto scassinatore, non un artista del ramo.
Intanto, mentre noi divaghiamo, il Genesio stava rispondendo a Libero “uh come  sei polemico stasera, ti ho solo chiesto di lasciarmi leggere il giornale e tu mi ribatti insultando. Va bene, hai ragione, siamo degli ignoranti, ma è proprio il caso di sbattercelo sul muso così, senza neanche un po’ di tatto?” Libero, come senz’altro avrete già compreso, era un fiammifero pronto ad incendiare la foresta se attaccato ma nel giro di pochi istanti poteva diventare un mansueto dispensatore di saggezze se l’interlocutore lo smontava con un atteggiamento gentile o comprensivo. Non stupitevi quindi se rispose “no ragazzi, non volevo offendervi e se l’ho fatto mi scuso con tutto il cuore. Io volevo solamente spiegarvi l’importanza della lettura perché solo la conoscenza ci può aiutare a rispondere alle fondamentali domande che, prima o poi, ognuno si pone: chi siamo? Perché esistiamo? Dove andiamo?”  Libero non lo disse ma la domanda a cui non sapeva rispondere in quel momento era “con chi andare?”, perché ormai lui conosceva benissimo la sua strada, il Cristianesimo, ma quel cammino lo doveva percorrere da solo od in compagnia? Era un quesito che gli rimbombava in testa dall’estate precedente quando, finalmente, era riuscito ad esaudire un suo desiderio che risaliva ai tempi della conversione, il pellegrinaggio verso Santiago di Compostela percorso a piedi e sugli stessi sentieri dei pellegrini del Medio Evo. Viaggio che aveva pomposamente chiamato La Ricerca e che per un tratto non breve fece con  un gruppo di spagnoli dell’Aragona, guidato dal loro parroco. In quei giorni, vedendo il pastore seguito devotamente dal  suo gregge, gli frullò in testa l’idea che la sua concezione  del Cristianesimo fosse un’elaborazione che non permetteva la condivisione con altri della propria fede e, quindi, fosse un atto di arroganza, di egoismo. Ed ancora adesso, a distanza di mesi si chiedeva “ma io ho bisogno di una Chiesa per esprimere compiutamente la mia Fede, oppure posso essere un credente solitario?”.
Naturalmente Genesio e il Moscerino non avevano nessuna voglia di rispondere alle domande di Libero, le loro menti erano ancora concentrate sull’azione criminosa appena terminata e la cui elaborazione non aveva, in verità, spremuto le loro meningi. Troppo metodica la Giannina, con una vita talmente regolare da sembrare scandita da un metronomo, troppo favorevole per i loro piani la menomazione di Caino. Decisero di eseguire il colpo il sabato sera alle diciotto perché Giannina era un’assidua frequentatrice della Messa Prefestiva e poi, dopo la funzione, si concedeva sempre un tè con le amiche presso il bar situato di fronte alla Chiesa. Scelta quasi dovuta perché era l’unico momento in cui la donna lasciava il marito solo, per esempio quando faceva la spesa c’era sempre una comare disposta a sostituirla nella sorveglianza dell’infermo. Tre quarti d’ora di funzione e mezz’ora di bar, Genesio era sicuro di avere tutto il tempo di aprire la cassaforte. Fu così che alle sei in punto di quel sabato i due loschi figuri scassinarono facilmente la porta d’ingresso dell’abitazione di Caino e velocemente s’intrufolarono nell’appartamento. I compiti erano ben definiti: Genesio si concentrava sulla cassaforte, Moscerino controllava che tutto intorno fosse tranquillo. La prima mezz’ora passò in un battibaleno e Genesio non riuscì a realizzare progressi nella sua lotta con il forziere. Alle diciotto e cinquanta minuti, quando ormai la speranza di aprirla stava svanendo, Genesio avvicinò l’orecchio alla cassaforte per ascoltare meglio i movimenti degli ingranaggi e questo gesto gli permise involontariamente di vedere, sul retro del quadro che serviva per coprire la cassaforte e che aveva appoggiato al pavimento, una scritta. Guardò meglio e si accorse con giubilo che si trattava di un numero di sei cifre: 865622. Ho fatto Bingo pensò e subito manovrò la ruota numerata: tre giri a sinistra fino all’86, due a destra fino al 56 e uno ancora a sinistra fino al 22. La cassaforte non si aprì. Riprovò, questa volta invertendo i numeri, 22 a sinistra, 56 a destra e 86 a sinistra. Un clic metallico che a Genesio parve melodioso annunciò l’apertura del  mobile. Stava riflettendo “questi deficienti meritano proprio di essere derubati” quando si trovò una Giannina aggrappata alla sua schiena e urlante “al ladro, al ladro”. Era successo un imprevisto. Imprevedibile, se no che imprevisto sarebbe? L’inimmaginabile aveva un nome, Giuditta, una pia donna con una corporatura possente ed un’andatura da plantigrado. Una caritatevole signora sulla sessantina con uno spiccato senso dell’amor del prossimo che la teneva impegnata per gran parte della giornata. Si avvicinò alla Giannina quando la Messa era terminata e prendendola a braccetto le disse <oh Giannina cosa ho sentito stamattina dal macellaio, si parlava del più e del meno e io ho detto quanto tu sia brava a curare quel povero malato di tuo  marito, di quanto tu sia premurosa, ed è intervenuta la Santina con un  “sì, proprio premurosa: lo lascia sempre solo nel suo letto di dolore ed è sempre in giro a chiacchierare”. Io ho ribattuto che non era assolutamente vero, anzi, ti comporti come una vera   infermiera oltre che una moglie zelante nella cattiva sorte e lei ha replicato che facevi finta di fare l’infermiera mentre un malato come il Domenico aveva proprio bisogno di una professionista ma tu sei troppo taccagna per pagarne una. Io comunque ti ho difesa, anche quando è intervenuta la Ida a darle manforte, a gridare che la Santina aveva ragione da vendere  e che il tuo comportamento era ancora più riprovevole visto la tua frequenza assidua in Chiesa>. Si attendeva la Giuditta che la Giannina rispondesse a tono ed aveva calcato la mano su quanto effettivamente detto dalla Ida: lei sapeva  che fra le due donne c’era una fortissima inimicizia e, se la Giannina avrebbe potuto tralasciare quanto detto dalla Santina, una nota malalingua invidiosa del mondo intero, probabilmente sarebbe uscita con qualche cosa di malevolo sul conto della Ida. In questo modo, sperava di continuare il suo giro virtuoso e caritatevole perché lei era mossa semplicemente dall’amore per il prossimo e suo preciso dovere quello di appianare le incomprensioni fra le persone di sua conoscenza.  Invece fu veramente sorpresa dalla reazione della Giannina: contrariamente alle aspettative, non rispose per le rime e farfugliò un saluto, lasciò la compagnia e ritornò velocemente a casa. Non voleva stare a sentire quell’arpia, le sue carognate falsamente a fin di bene e poi voleva gridare a suo marito “vero che ti curo bene, vero che faccio tutto per te?”. Non poté esaudire il proposito perché, appena entrata in casa, si accorse che un problema più grave dei pettegolezzi di Giuditta le era caduto addosso, e con coraggio cercò di risolverlo attaccando alle spalle il malvivente. Genesio passò nell’arco di un secondo dalla gioia al terrore. Fortunatamente aveva indossato il passamontagna, si raggomitolò per proteggerlo con le mani dagli attacchi furiosi di Giannina che istintivamente cercava di toglierlo poi, di colpo, si alzò e si girò, riuscendo a liberarsi dalla morsa della Giannina  e  a sbatterla lontano da sé quel tanto sufficiente da permettergli di fuggire. Uscì dal salotto  e quasi si scontrò con il Moscerino che stava a sua volta uscendo dalla camera da letto di Caino. Lo sciagurato, invece di agire da palo, si era intrufolato nella stanza di Domenico  per dileggiarlo con frasi del tipo “oltre a non ridarti i soldi che ti dovevo ora ti prendo anche quelli che hai in cassaforte, maledetto strozzino”. E via di corsa verso il bar, lasciando una Giannina distrutta nel soggiorno, più annichilita dalle parole di Giuditta  che dalla colluttazione con il rapinatore; d’altra parte si potrebbe notare che almeno questa volta la Giuditta è riuscita a completare un’opera di bene  perché, involontariamente,  con le sue parole e la conseguente reazione di Giannina, aveva  provocato il fallimento della rapina.
Strana atmosfera quella sera al bar, poca gente e tutta scontenta. Non era contento Libero con i suoi pensieri sulla Fede e sulla Chiesa e che riassumeva nell’ultima domanda: “posso credere senza appartenere?”. Non si sentiva appagato il Moscerino sempre alla ricerca di soldi e di occasioni di facili guadagni per soddisfare la febbre del gioco. Soprattutto non era soddisfatto il Genesio. Mentre Libero si poneva delle domande a cui nessuno voleva rispondere, lui si chiedeva come avesse fatto a preparare un colpo con quel ritardato di Moscerino, vero anello mancante fra la scimmia e l’uomo, e più di ogni altra cosa un pensiero lo assillava: la supposizione, se non la certezza, che sarà sempre una mezza cartuccia, non farà strada nel mondo della malavita. Un vero rapinatore avrebbe preso la Giannina, l’avrebbe sbattuta contro il muro e avrebbe svuotato la cassaforte, non se la sarebbe data a gambe come lui, malavitoso di mezza tacca.
26/07/2004

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